La voce di Fiorella Mannoia, incisiva e commossa, risuona alle Cave di Fantiano, a Grottaglie, non solo come artista, ma come testimone di una ferita aperta nel tessuto sociale tarantino.
Le parole, “un’ingiustizia grandiosa, profondissima”, si uniscono ai cori del pubblico, un grido collettivo che implora: “Basta Ilva!”.
Il concerto diventa così un palcoscenico per la sensibilizzazione, un punto focale di un dibattito che affonda le radici in decenni di problematiche ambientali e sanitarie.
La visita pomeridiana al quartiere Tamburi, accolta con calore e gratitudine nella chiesa degli Angeli Custodi, rivela la dimensione umana di questo impegno.
L’invito del parroco, don Alessandro Argentiero, non è solo un gesto di ringraziamento per l’appello lanciato l’anno precedente a favore della raccolta fondi per il nuovo campo sportivo parrocchiale – un luogo di aggregazione cruciale per i bambini del quartiere, spesso vittima di atti vandalici – ma un riconoscimento del ruolo che la cultura e l’arte possono svolgere nella denuncia e nella speranza.
La fragilità dei bambini, esposti a un ambiente contaminato e segnato da disuguaglianze, emerge con forza.
La realizzazione del campo sportivo, finalmente resa possibile grazie al contributo regionale, rappresenta una piccola, ma significativa, vittoria contro la precarietà e la marginalizzazione.
È un simbolo di resilienza, una promessa di futuro per una generazione che ha il diritto di crescere in un ambiente sano e sicuro.
L’accoglienza dei bambini e delle loro madri, con cartelli colorati e messaggi di benvenuto, si tinge di un’emozione palpabile.
La canzone “Che sia benedetta”, divenuta l’inno del campo estivo, accompagna i sorrisi e le speranze di una comunità che non si arrende.
La presenza di Mannoia non è solo un evento mediatico, ma un atto di vicinanza, un segnale di solidarietà che amplifica le voci silenziate e rafforza la consapevolezza di una responsabilità collettiva nei confronti del territorio e dei suoi abitanti.
Il campo sportivo, ben più di una struttura ricreativa, si configura come un luogo di speranza, un piccolo spazio di normalità in un contesto segnato da una complessa eredità industriale e dalle sue conseguenze sulla salute e sulla vita delle persone.
La vicenda tarantina, così, si eleva a simbolo di una più ampia riflessione sulla giustizia ambientale e la necessità di proteggere le generazioni future dagli effetti devastanti dell’inquinamento e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.