La scoperta macabra nel cimitero di Galatina ha riacceso i riflettori su una spirale di intimidazioni e minacce che da oltre un anno gravano sulla giudice Francesca Mariano, Gip del Tribunale di Lecce, e sulla collega pm Carmen Ruggiero.
Il ritrovamento, un’efferata esibizione di una testa di capretto mozzata e affondata in un coltello, deposto sulla tomba del padre della magistrata, si configura come un messaggio crudo e diretto, un’escalation inquietante in una serie di azioni intimidatorie che hanno già messo a dura prova la sicurezza e la serenità delle due figure apicali del sistema giudiziario salentino.
La vicenda non è un evento isolato, bensì l’ultimo anello di una catena di atti che testimoniano un tentativo sistematico di intimidazione nei confronti della magistratura, in particolare nei confronti di chi si sta confrontando con le radici profonde di una criminalità organizzata.
Il precedente più recente, risalente all’ottobre 2024, aveva visto la comparsa, all’interno dell’aula di udienza del tribunale, di un ritaglio di giornale raffigurante la giudice Mariano, circondato da un disegno sinistro di una bara, realizzato con un pennarello nero.
Quel gesto, apparentemente simbolico, rivelava un intento ben preciso: colpire la magistrata non solo a livello personale, ma anche nel suo ruolo e nella sua immagine pubblica.
Le intimidazioni, che includono anche lettere con minacce di morte e tentativi di aggressione durante gli interrogatori, sembrano direttamente collegare le due magistrate agli esiti di complesse inchieste antimafia.
In particolare, l’episodio della testa di capretto si inserisce in un contesto più ampio che fa riferimento all’operazione “The Wolf”, un’azione giudiziaria che nel luglio 2023 ha portato alla disarticolazione del clan Lamendola-Cantanna, presunto braccio armato della Scu, una pericolosa associazione a delinquere.
Le ordinanze di arresto, ottenute dalla giudice Mariano e attuate sulla base degli accertamenti svolti dalla pm Ruggiero, hanno innescato una reazione violenta da parte di ambienti criminali, che hanno scelto di colpire le due magistrate come forma di ritorsione e di deterrenza.
Particolarmente grave è l’accertamento che un detenuto, Pancrazio Carrino, uno degli indagati coinvolti nell’operazione, abbia orchestrato un piano per fingersi collaboratore di giustizia al solo scopo di poter avvicinare la pm Ruggiero e tentare di aggredirla.
Il complotto, fortunatamente sventato, evidenzia la determinazione e la spietatezza dei responsabili, pronti a tutto pur di ostacolare l’azione della giustizia e di colpire coloro che la rappresentano.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla sicurezza dei magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata e sulla necessità di rafforzare i sistemi di protezione e di investigazione per contrastare un fenomeno che, lungi dall’attenuarsi, sembra in costante evoluzione.
L’episodio mette in luce la fragilità del sistema giudiziario di fronte alla violenza mafiosa e la necessità di un impegno sinergico tra istituzioni, forze dell’ordine e società civile per garantire la piena e libera operatività della giustizia.







