Lavoratori Leonardo: Non in mio nome, la protesta contro Israele

Un appello acceso e inequivocabile si leva dalle linee di produzione di Leonardo a Grottaglie: una petizione online, intitolata “Non in mio nome”, ha rapidamente raccolto quindicimila firme, testimoniando una crescente inquietudine tra i dipendenti del colosso della difesa italiano.

L’iniziativa non si limita a un dissenso generico, ma esprime un profondo rifiuto di partecipare, anche indirettamente, a un conflitto che si consuma a migliaia di chilometri di distanza.
Il fulcro della protesta risiede nelle relazioni commerciali e di cooperazione militare che Leonardo intrattiene con Israele, rapporti mantenuti e supportati dal governo italiano.
I firmatari denunciano come queste partnership contribuiscano attivamente alla perpetrazione di operazioni militari che colpiscono sproporzionatamente la popolazione civile palestinese, lasciandola indifesa e vulnerabile.

Tale azione, sostengono, costituisce una palese violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, che mirano a proteggere i civili in contesti di conflitto armato.
La petizione, un grido di coscienzaprofonda, non si rivolge solo ai vertici aziendali di Leonardo, ma anche all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento del Ministero degli Affari Esteri e, in ultima analisi, al Consiglio UE.

L’obiettivo è sollecitare un intervento concreto, un cambio di rotta che porti alla cessazione immediata di qualsiasi collaborazione con Israele, non solo per evitare potenziali sanzioni internazionali, ma soprattutto per una questione etica imprescindibile.

Il messaggio finale, veicolato con chiarezza e forza, è un rifiuto categorico di essere complici di violazioni dei diritti umani e di crimini internazionali.

I lavoratori di Leonardo esprimono il loro rifiuto che le loro competenze, il loro ingegno e il loro lavoro contribuiscano a sostenere un’economia intera, un sistema complesso che alimenta e abilita azioni denunciate come genocidio nei confronti del popolo palestinese.
La petizione non è solo una richiesta, ma una dichiarazione di responsabilità morale, un atto di resistenza silenziosa che rompe il muro dell’omertà e pone al centro la questione della responsabilità individuale di fronte a una tragedia umanitaria.
Rappresenta un segnale di dissidenza proveniente dal cuore dell’industria bellica, un invito alla riflessione e all’azione per un futuro più giusto e pacifico.

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