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giovedì 13 Novembre 2025

Parisi assolto nell’inchiesta Do ut des: svolta nel processo a Bari

La sentenza della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Bari ha riscritto una parte significativa del quadro giudiziario emerso dall’inchiesta “Do ut des”, un’indagine complessa che ha svelato meccanismi di controllo e sfruttamento all’interno del tessuto economico della regione.
Al centro della vicenda, Tommy Parisi, figlio del noto boss Savinuccio, figura centrale nell’ordinamento criminale locale, è stato assolto per non aver commesso il fatto.

Questa decisione, di impatto notevole, ribalta la condanna in primo grado a otto anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, evidenziando la difficoltà, in sede d’appello, di attribuire con certezza la partecipazione attiva di Parisi nei presunti illeciti.
L’inchiesta “Do ut des” aveva inizialmente delineato un sistema di estorsioni mirate a cantieri edili, un settore cruciale per l’economia regionale.

L’accusa sosteneva che l’organizzazione criminale imponesse a queste imprese l’utilizzo di servizi di guardiania e la fornitura di merci da parte di aziende affiliate, generando profitti illeciti a discapito delle attività legittime.
L’aspetto peculiare era la pretesa di controllo capillare su un’ampia gamma di operazioni, che si estendevano dalla sicurezza dei cantieri alla gestione della catena di approvvigionamento.

Nonostante l’assoluzione di Parisi, la Corte d’Appello ha confermato le condanne di primo grado per altri soggetti coinvolti.

Emanuele Sicolo, imprenditore con precedenti, ha visto la sua pena definitiva fissata a vent’anni di reclusione, mentre Mario Di Sisto, figura chiave nell’organizzazione, è stato condannato a dieci anni e sei mesi, ridotti a otto anni e mezzo.
Alessandro Sicolo, inizialmente condannato a dieci anni, ha visto la sua pena diminuita.
Un elemento importante da sottolineare è l’intervento della prescrizione per ben sei imputati, una circostanza che ha contribuito a ridurre il numero di condanne definitive e ha sollevato interrogativi sulla tempestività delle indagini e dei processi.

La sentenza, oltre alle implicazioni dirette per i singoli imputati, apre un dibattito più ampio sulla complessità di provare l’appartenenza e la partecipazione attiva all’interno di organizzazioni criminali di stampo mafioso.

La difficoltà di ottenere prove concrete e la necessità di distinguere tra responsabilità diretta e indiretta rappresentano sfide costanti per il sistema giudiziario.
L’assoluzione di Parisi, in particolare, pone l’accento sulla necessità di un’analisi approfondita dei ruoli e delle responsabilità all’interno di tali organizzazioni, e sulla fragilità delle ricostruzioni basate prevalentemente su testimonianze e indizi.

L’inchiesta “Do ut des”, pur con le modifiche apportate dalla sentenza d’appello, rimane un tassello importante nella lotta alla criminalità organizzata e nella difesa dell’economia legale.

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