All’alba, un’azione di disobbedienza civile ha interrotto le operazioni presso la raffineria Eni di Taranto, orchestrata dal sindacato USB.
L’azione, un sit-in determinato, ha visto un gruppo di attivisti occupare strategicamente i punti di accesso, con particolare attenzione all’area dedicata alle autobotti, interrompendo così la catena logistica dell’impianto.
Il gesto di protesta è direttamente collegato al recente carico di circa trenta mila tonnellate di greggio, imbarcato sulla petroliera Seasalvia.
Il sindacato USB ha sollevato un’accusa gravissima: il greggio, ufficialmente diretto in Egitto, sarebbe in realtà destinato a rifornire l’aviazione militare israeliana, alimentando così il conflitto in corso a Gaza.
Questa implicazione ha portato l’organizzazione sindacale a denunciare pubblicamente la presunta complicità di Eni in un contesto di profonda crisi umanitaria.
La scelta di Taranto, città segnata da una storia complessa di inquinamento industriale e di vulnerabilità sociale, non è casuale.
L’azione mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e a rivendicare un ruolo attivo da parte della comunità locale nella definizione di politiche energetiche più etiche e responsabili.
“Taranto non sarà complice del genocidio palestinese”, recita un comunicato dell’USB, che sottolinea la ferma determinazione a mantenere la mobilitazione di fronte agli impianti, fino a quando non saranno fornite risposte chiare e trasparenti sulle reali destinazioni delle forniture di greggio.
Al presidio hanno aderito numerose associazioni e collettivi, tra cui il coordinamento “Grottaglie per la Palestina” e l’associazione “Babele”, ampliando la base di supporto all’iniziativa e rafforzando il messaggio di protesta.
La presenza di consiglieri comunali, come Luca Contrario (Partito Democratico) e Antonio Lenti (Europa Verde/Avs), testimonia un crescente coinvolgimento del mondo politico locale nella questione, segnando un potenziale punto di svolta nella gestione delle relazioni tra l’amministrazione cittadina e le realtà industriali del territorio.
L’azione, al di là della sua immediatezza, solleva interrogativi più ampi sulla responsabilità delle aziende multinazionali, sul ruolo della logistica nel conflitto geopolitico e sull’importanza della partecipazione civica nella difesa dei diritti umani.







