Resistenza antimicrobica: allarme in Africa, studio italiano rivela l’aumento preoccupante.

La crescente sfida della resistenza antimicrobica si configura come una delle principali emergenze sanitarie globali, con un impatto particolarmente drammatico nell’Africa sub-sahariana.

Un’analisi sistematica e meta-analisi, frutto di una collaborazione internazionale guidata dall’Università Aldo Moro di Bari e recentemente pubblicata su *Communications Medicine*, ha quantificato l’allarmante aumento della resistenza alle cefalosporine di terza generazione, una classe di antibiotici ampiamente impiegata in questi contesti per la sua presunta sicurezza, ampia disponibilità e relativa semplicità d’uso clinico.
La ricerca, il cui primo autore è il dottorando Giacomo Guido, evidenzia una preoccupante prevalenza di resistenza in batteri chiave come *Klebsiella pneumoniae*, *Enterobacter* e *Escherichia coli*, microrganismi responsabili di un ampio spettro di infezioni severe e potenzialmente letali.

Tra queste figurano sepsi, polmoniti nosocomiali, complicanze post-operatorie e, soprattutto, infezioni neonatali, che rappresentano una delle principali cause di mortalità infantile nella regione.

La perdita di efficacia delle cefalosporine, quindi, mina direttamente la capacità dei sistemi sanitari africani di affrontare queste condizioni cliniche critiche.

Il contesto socio-economico dell’Africa sub-sahariana aggrava ulteriormente la gravità della situazione.

L’accesso limitato a terapie antibiotiche alternative, spesso a causa di vincoli finanziari, logistici e infrastrutturali, rende la perdita di efficacia delle cefalosporine una minaccia concreta per la sopravvivenza di milioni di persone.
Questo fenomeno non solo incrementa la mortalità per infezioni resistenti, ma rischia di compromettere i progressi compiuti nel miglioramento della salute pubblica e nello sviluppo economico.
L’analisi rivela un’accelerazione significativa nell’aumento della resistenza antimicrobica nell’ultimo decennio.
Le regioni dell’Africa orientale e occidentale mostrano i tassi di resistenza più elevati, suggerendo una potenziale correlazione con modelli di prescrizione antibiotica, pratiche igieniche e condizioni ambientali specifiche.

Questa distribuzione geografica disomogenea sottolinea l’importanza di strategie di sorveglianza mirate e adattate alle realtà locali.
La ricerca non si limita a documentare la problematica, ma lancia un monito urgente.

Richiede interventi coordinati a livello internazionale, che comprendano investimenti significativi nella sorveglianza antimicrobica, nell’implementazione di programmi di *antibiotic stewardship* (uso appropriato degli antibiotici) e nella formazione continua del personale sanitario.

È fondamentale promuovere un cambiamento culturale nella prescrizione antibiotica, incentivando l’uso di alternative più mirate e riducendo l’abuso di cefalosporine.
Parallelamente, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, l’accesso all’acqua potabile e la promozione di pratiche di prevenzione delle infezioni rappresentano pilastri fondamentali per contrastare la diffusione della resistenza antimicrobica e proteggere la salute delle popolazioni africane.

La sfida è complessa, ma la posta in gioco – la sopravvivenza di milioni di persone – rende l’azione immediata e concertata un imperativo morale e umanitario.

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