La crescente tensione sociale a Taranto si è intensificata con nuove azioni di protesta, amplificando la crisi occupazionale derivante dalla gestione dell’ex sito siderurgico Ilva.
Oltre al blocco in corso sulla statale 100, arteria vitale che collega Taranto a Bari, oggi i lavoratori, affiancati dalle rappresentanze sindacali, hanno esteso le manifestazioni alla statale 106 e all’area industriale, epicentro dell’attività del settore siderurgico.
L’annuncio inatteso da parte di Semat Sud, l’azienda che gestisce importanti appalti, ha innescato l’escalation: la dichiarazione di chiusura e il conseguente licenziamento di 220 dipendenti rappresentano un duro colpo per una comunità già provata da anni di incertezze legate al futuro dell’acciaieria.
Questa decisione, percepita come una brusca interruzione di un’attività produttiva e un’ulteriore aggravio per il tessuto socio-economico locale, ha ulteriormente galvanizzato la mobilitazione dei lavoratori.
La figura del sindaco di Taranto, Piero Bitetti, si è inserita in questo scenario complesso.
Pur raggiungendo il presidio dei manifestanti nella serata di ieri, i sindacati hanno espresso una richiesta esplicita: evitare la partecipazione all’incontro convocato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) il 5 dicembre.
La ragione di questa richiesta risiede nelle divergenze di approccio tra il governo e le rappresentanze dei lavoratori.
Il ministro Urso, infatti, ha disposto una serie di incontri separati, distinguendo le problematiche relative ai siti produttivi del Nord e del Sud Italia.
Questa scelta, in contrasto con la richiesta sindacale di un tavolo di confronto unitario, ospitato a Palazzo Chigi, simboleggia una frattura più ampia.
I sindacati ritengono che una trattativa unica e coordinata sia essenziale per affrontare le complessità legate al rilancio dell’area industriale e per garantire una transizione equa per i lavoratori coinvolti.
La separazione dei siti, percepita come una marginalizzazione del Sud e una sottovalutazione delle specifiche esigenze della comunità tarantina, ha alimentato il senso di frustrazione e la determinazione a proseguire nella mobilitazione.
La crisi dell’ex Ilva a Taranto trascende una semplice questione economica; essa incarna un problema di giustizia sociale, di sviluppo territoriale e di responsabilità istituzionale.
Le proteste dei lavoratori, l’assenza di un approccio unitario da parte del governo e la richiesta di un tavolo di confronto a Palazzo Chigi riflettono un profondo dissenso verso una gestione percepita come insufficiente e inadeguata ad affrontare le sfide complesse che il territorio si trova ad affrontare.
La situazione rimane estremamente delicata e l’auspicio è che si possa trovare una soluzione che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti, garantendo un futuro sostenibile per la comunità tarantina e per i suoi lavoratori.






