Le periferie non si definiscono solo attraverso coordinate geografiche; esse incarnano profonde fratture esistenziali, cicatrici indelebili nell’anima collettiva.
Il mio impegno, umile e modesto, è quello di amplificare le voci di coloro che risiedono negli spazi marginali del Paese, individui spesso silenziati, esauriti dalla quotidiana battaglia per la dignità.
L’etichetta di “prete influencer di periferia”, nata dalla stampa, non è un obiettivo che perseguo, bensì una conseguenza dell’uso dei social media come strumento di connessione.
Attraverso queste piattaforme, dialogo direttamente con una comunità di oltre un milione di persone, prevalentemente giovani, che preferisco definire “anime” – cuori assetati di riconoscimento, di una semplice, essenziale affermazione: “tu sei importante”.
Don Cosimo Schena, testimone davanti alla Commissione Parlamentare sull’inquinamento e il degrado urbano, ha avuto modo di condividere questa prospettiva.
La presenza sui social media, con un seguito considerevole – superando i 503.000 su Instagram, posizionandolo tra i sacerdoti italiani più seguiti dopo il Pontefice – permette un confronto continuo con le nuove generazioni, affrontando le sfide che affliggono la società contemporanea.
Questa relazione digitale si arricchisce di un servizio di consulenza psicologica, risultato della mia formazione non solo teologica, ma anche clinica, con un approccio dinamico e orientato alla persona.
Quando si pensa alla periferia, l’immaginario evoca immediatamente la grande città: quartieri segnati dalla precarietà, dalla criminalità dilagante, dalle dinamiche violente e dalla perdita di prospettive.
Questa realtà è innegabile e dolorosa, ma rappresenta solo una dimensione della questione.
Esiste un’altra periferia, spesso ignorata dai riflettori, silenziosa e silenzata: quella dei piccoli paesi, dei borghi abbandonati, delle aree rurali dimenticate.
Qui, l’assenza non si manifesta attraverso manifestazioni eclatanti, ma con un vuoto interiore, un senso di isolamento profondo.
Non ci sono spari, ma la chiusura delle porte, la mancanza di opportunità.
La ricerca sociologica contemporanea distingue due forme di sofferenza: la marginalità urbana, che si traduce in rabbia, frustrazione e la costruzione di identità spesso distorte, e l’isolamento rurale, che invece si manifesta con una silenziosa estinzione, un soffocamento lento e inesorabile.
Quest’ultima, priva di sfogo, spegne la vitalità di tanti giovani che aspirano a realizzarsi, a contribuire, a trovare un significato alla propria esistenza.
Si tratta di una sofferenza celata, un grido silenzioso che richiede un’attenzione urgente, un ascolto attivo e un impegno concreto per ricostruire ponti, creare opportunità e ridare voce a chi è stato lasciato ai margini.
La sfida è quella di trasformare queste periferie da luoghi di esclusione a poli di sviluppo, di resilienza e di speranza.







