Nell’ambito della nona edizione del Festival del Cinema di Taranto, “Levante: dove l’Oriente incontra l’Occidente”, un evento che si propone come ponte culturale tra due mondi spesso percepiti come distanti, si è tenuto un incontro particolarmente significativo con Atef Abu Saif, figura poliedrica di spicco nel panorama intellettuale palestinese.
Scrittore, saggista, intellettuale impegnato e, in passato, ministro della Cultura della Palestina, Abu Saif incarna una voce autorevole e profondamente radicata nella complessità della sua terra.
Nato nel campo profughi di Jabalia, a Gaza, da una famiglia originaria della storica città portuale di Giaffa, il percorso formativo di Abu Saif è segnato da un’esperienza internazionale che lo ha portato a studiare a Birzeit, Bradford e Firenze.
Questa apertura culturale si riflette nella sua opera, che spazia tra romanzi, racconti e intensi diari di guerra, spesso caratterizzati da un’acuta osservazione della condizione umana e da una profonda riflessione sulla memoria collettiva.
Il suo romanzo “Running in Place” ha rappresentato una pietra miliare, essendo il primo testo di un autore di Gaza ad essere tradotto in ebraico, un gesto di coraggio e un tentativo di creare un ponte di comprensione tra due culture spesso in conflitto.
L’incontro con Annalisa Adamo ha offerto un’occasione preziosa per approfondire le dinamiche attuali del conflitto israelo-palestinese, andando oltre la cronaca immediata per analizzare le radici storiche e politiche della crisi.
Abu Saif ha sottolineato come la narrazione corrente tenda a circoscrivere il conflitto all’escalation del 7 ottobre, occultando una realtà ben più vasta e profonda.
Ha ricordato episodi precedenti, come l’uccisione di quattro pescatori il 6 ottobre e l’omicidio di pastori il 5 ottobre, per evidenziare come la violenza contro il popolo palestinese sia una costante, una strategia deliberata e pluridecennale.
Secondo l’autore, il conflitto non è semplicemente una guerra contro Gaza, ma una guerra sistematica contro l’identità e l’esistenza stessa del popolo palestinese.
Questa guerra si declina in molteplici forme: un’occupazione militare che affonda le sue radici nel 1948, con la Nakba che ha segnato la dispersione e la sofferenza di un intero popolo; un’azione deliberata e reiterata da parte del movimento sionista, che in oltre un secolo ha innescato una serie di conflitti armati; e, forse la forma più insidiosa, una guerra mirata a cancellare la memoria storica palestinese, a negare la loro narrazione e a soffocare la loro identità culturale.
Abu Saif ha quindi posto l’accento sulla necessità di superare le semplificazioni e le narrazioni parziali che spesso caratterizzano il dibattito pubblico, invitando a una riflessione più profonda e consapevole delle dinamiche in gioco.
Il suo intervento, carico di umanità e di speranza, ha rappresentato un appello alla responsabilità collettiva, un invito a non dimenticare la sofferenza di un popolo e a sostenere il diritto alla memoria e alla dignità.
La sua testimonianza ha ricordato come la cultura e l’arte possano essere strumenti potenti per la comprensione, il dialogo e la costruzione di un futuro di pace.






