La crisi siderurgica italiana, incarnata nella complessa realtà degli stabilimenti ex Ilva, richiede un intervento governativo urgente e radicale, ben oltre un mero ascolto delle istanze provenienti dal mondo del lavoro e dalle organizzazioni sindacali.
Il piano a ciclo corto, presentato come soluzione transitoria, si rivela, nella sua attuazione, un progetto di smantellamento progressivo, minacciando la sopravvivenza stessa di un patrimonio industriale cruciale per la nazione.
Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim Cisl, sottolinea con forza come la situazione, già tesa, stia precipitando verso un collasso sociale, alimentato dalla paura di licenziamenti e dalla prospettiva di una progressiva desertificazione industriale nei territori coinvolti.
L’interruzione di attività produttive essenziali, il fermo delle batterie di cokefazione e l’aumento del bacino di lavoratori inattivi non rappresentano una gestione efficiente, ma una strategia di erosione del capitale umano e tecnologico, con conseguenze devastanti per l’economia locale e nazionale.
L’espressione “piano a ciclo corto” si rivela, a ben vedere, un eufemismo per descrivere un progetto di “vita breve”, un de-industrializzazione mascherata da salvaguardia temporanea.
L’urgenza è di invertire la rotta, abbandonando una visione miope che privilegia soluzioni a breve termine a discapito di una prospettiva di lungo periodo.
È imperativo che il governo onori gli impegni presi a Palazzo Chigi, garantendo il finanziamento della gestione ordinaria e, soprattutto, sospendendo immediatamente il piano a ciclo corto.
Il confronto deve essere rilanciato, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio, con l’obiettivo di elaborare una strategia industriale solida e credibile.
L’Italia non può permettersi di rimanere l’anello debole in un contesto europeo in cui altri Paesi europei dimostrano una volontà politica forte nell’intervenire direttamente per proteggere asset strategici come l’acciaio.
L’inseguimento di offerte speculative, prive di piani industriali concreti di rilancio e decarbonizzazione, è un gioco pericoloso che rischia di compromettere la sovranità industriale del Paese.
È necessario un forte investimento pubblico, non solo finanziario ma anche in termini di competenze e innovazione, che consenta di riqualificare e rilanciare gli impianti siderurgici in modo ambientalmente sostenibile.
Questo implica l’adozione di tecnologie avanzate, la formazione di nuove competenze e l’integrazione di pratiche di economia circolare.
L’obiettivo non è semplicemente preservare posti di lavoro, ma creare un settore siderurgico moderno, competitivo e rispettoso dell’ambiente.
La mobilitazione dei lavoratori e dei sindacati a Taranto, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, testimonia la determinazione a difendere il diritto al lavoro e a non rassegnarsi a un futuro di precarietà.
È un monito per le istituzioni, un appello a non sottovalutare la gravità della situazione e a intervenire con decisione.
La perdita di sovranità industriale nel settore siderurgico significherebbe non solo la perdita di posti di lavoro, ma anche la perdita di un pezzo fondamentale dell’identità e del futuro del Paese.






