L’illusione di una rinascita “green” per l’ex Ilva si rivela, a un’analisi approfondita, un’astuta operazione di facciata, una narrazione ripetuta ad oltranza per mascherare una realtà ben più inquietante.
Questo è il fulcro delle denunce emerse dal convegno “Oltre il bluff della decarbonizzazione”, tenutosi a Taranto, dove una coalizione di voci civiche e scientifiche ha smascherato le incongruenze di una strategia che promette un futuro sostenibile, ma che in realtà perpetua un modello industriale obsoleto e dannoso.
Il ricorso presentato al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Lecce, sostenuto da una significativa adesione economica da parte della cittadinanza, rappresenta un atto di resistenza contro una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) giudicata non solo inaccettabile, ma palesemente in contrasto con le stringenti direttive europee in materia di clima e salute.
Non si tratta di un mero dissenso burocratico, ma di una contestazione radicale di un approccio che sacrifica la tutela dell’ambiente e della salute umana sull’altare di interessi economici a breve termine.
Il diritto costituzionale comparato e climatico, rappresentato dalla figura del docente Michele Carducci, ha illuminato le criticità del provvedimento impugnato, evidenziando come l’AIA si collochi temporalmente e concettualmente indietro di due anni rispetto all’evoluzione normativa a livello europeo e globale.
La sua validità è compromessa da una logica che, in nome di una presunta decarbonizzazione, proietta l’impianto siderurgico verso un futuro di dodici anni di produzione intensiva e di un impiego massiccio di combustibili fossili, in particolare il carbone.
L’analisi di Carducci va oltre la semplice critica: sottolinea come la transizione energetica proposta si fondi su un modello basato sul gas naturale, una fonte fossile che, a sua volta, è sempre più in contrasto con gli impegni presi dall’Italia, dall’Europa e dalla comunità internazionale per contrastare il cambiamento climatico.
Si prospetta, quindi, il rischio di una “decarbonizzazione” viziata fin dalla sua genesi, una strategia che rischia di incorrere in censure di legittimità costituzionale, esattamente come accaduto con l’AIA attualmente contestata.
La vicenda dell’ex Ilva non è quindi solo un caso locale, ma un campanello d’allarme per l’intero paese.
Evidenzia la necessità di una revisione profonda dei criteri di valutazione degli impatti ambientali e della definizione di “sostenibilità”, al di là delle retoriche di facciata.
E’ imperativo che la transizione industriale sia veramente inclusiva, equa e orientata alla tutela della salute pubblica e del pianeta, piuttosto che un pretesto per perpetuare modelli produttivi obsoleti e dannosi.
La battaglia di Taranto è, in definitiva, una battaglia per il futuro di tutti.







