La vertenza dell’ex Ilva di Taranto raggiunge un nuovo, drammatico atto.
Mentre si concludono le assemblee sindacali, l’aria è densa di frustrazione e di un’angoscia palpabile tra i lavoratori diretti, dell’indotto e quelli in liquidazione, in vista dello sciopero generale di 24 ore indetto dalle sigle Fim, Fiom e Uilm.
Questa mobilitazione, prevista per domani, rappresenta l’ultima spiaggia per rivendicare un futuro dignitoso e sostenibile per una comunità intera, da anni soffocata dall’incertezza e dalle promesse non mantenute.
La denuncia sindacale è ferma: il silenzio assordante del governo, l’assenza di un tavolo di confronto strutturale a Palazzo Chigi, costituisce un’inaccettabile derelizione di fronte alle richieste di una soluzione definitiva.
La vertenza, che affonda le sue radici nel sequestro preventivo del 26 luglio 2012, continua a prosciugare le energie e la speranza di migliaia di persone.
La vendita dell’azienda, paventata come soluzione, solleva timori ancora più profondi: senza un intervento pubblico incisivo e mirato, si rischia una perdita massiccia di posti di lavoro, unita alla compromissione del cruciale percorso di decarbonizzazione, un imperativo ambientale ed economico imprescindibile.
Le organizzazioni sindacali rigettano con forza l’utilizzo indiscriminato della cassa integrazione come palliativo, come un mero strumento per celare la mancanza di una reale politica industriale.
La cassa integrazione, pur necessaria in alcuni contesti, non può sostituire un piano organico di rilancio, che preveda la riqualificazione professionale, la creazione di nuove opportunità e la tutela dei diritti acquisiti.
Lo sciopero non è un atto di protesta sterile, ma una richiesta di “riscatto”, un appello a garantire un percorso chiaro, stabile e condiviso, fondato sulla tutela dell’occupazione, sulla salvaguardia dell’ambiente, sulla promozione di una qualità del lavoro che rispetti la dignità di ogni lavoratore e il benessere delle loro famiglie.
È necessario un cambio di rotta, un ripensamento radicale delle politiche attuate finora.
Il governo è chiamato ad assumere la leadership del processo, guidando una transizione ecologica che vada oltre la retorica e si traduca in azioni concrete.
La transizione non può essere un’utopia, ma un processo graduale, equo e inclusivo, che tenga conto delle peculiarità del territorio e delle esigenze dei lavoratori.
A Taranto, nonostante le incognite legate alle previsioni meteorologiche avverse, la mobilitazione si articolerà in un corteo di protesta che attraverserà la città, esprimendo il malcontento e la determinazione di una comunità che non si arrende.
Le prime fasi della mobilitazione vedranno il presidio delle portinerie degli stabilimenti e delle aziende dell’indotto, per poi culminare in una manifestazione pubblica davanti al Palazzo di Città.
Questa è l’ultima chiamata per il governo, un ultimatum per dimostrare di voler realmente tutelare il futuro di Taranto e dei suoi lavoratori.








