La rottura del tavolo di confronto sull’eredità industriale dell’ex Ilva rappresenta un momento di drammatica svolta, un tradimento delle aspettative e delle speranze di migliaia di lavoratori e delle comunità ad essi connesse.
La recente convocazione a Palazzo Chigi, con l’obiettivo di definire un piano di riconversione per il mese di agosto, si è trasformata in una brusca delusione, sfociata nella presentazione di uno scenario di chiusura e cassa integrazione che i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm definiscono inequivocabilmente “un piano di morte”.
L’episodio evidenzia una profonda frattura nel processo decisionale, un’incongruenza tra le promesse di rilancio e le azioni concrete intraprese.
La gestione della complessa situazione industriale, gravata da debiti, obsolescenza tecnologica e incertezze geopolitiche, rischia di compromettere irreversibilmente il futuro di un’area produttiva strategica per il Paese.
La richiesta rivolta alla Presidente del Consiglio non è una semplice sollecitazione, ma una supplica affinché assuma la responsabilità di riprendere in mano il tavolo di trattativa, superando l’immobilismo e la mancanza di visione che hanno caratterizzato le recenti dinamiche.
La persistente assenza di investimenti, certificata dallo “zero” allocato nella legge di bilancio, amplifica i timori di un declino inarrestabile e alimenta la sensazione di un Paese disinteressato al destino dei propri lavoratori.
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, descrive la vicenda come un campanello d’allarme per l’intero sistema industriale italiano.
La necessità di una società “ad hoc”, con una partecipazione pubblica significativa, emerge come l’unica strada percorribile per scongiurare una liquidazione che sarebbe catastrofica sia dal punto di vista sociale che economico.
Questa soluzione, lungi dall’essere una panacea, rappresenterebbe un tentativo di costruire un futuro sostenibile, combinando competenze private e controllo pubblico, elementi imprescindibili per la riqualificazione dell’area e la creazione di nuove opportunità di lavoro.
La denuncia di Landini è esplicita: la responsabilità della crisi non può essere scaricata su fattori esterni.
La durata del governo in carica, pari a tre anni, rende inequivocabile la sua posizione: l’inerzia e la mancanza di una strategia chiara sono le vere cause del presente dramma.
Il caso dell’ex Ilva, pertanto, non è solo una questione industriale, ma un simbolo della fragilità di un modello economico che sacrifica il bene comune sull’altare del profitto immediato, lasciando sul lastrico famiglie intere e compromettendo la coesione sociale.
Il futuro, ora, si gioca su una scelta: abbandonare il territorio al suo destino o agire con coraggio e lungimiranza per costruire un futuro di speranza e sviluppo.







