La recente manovra economica solleva profonde preoccupazioni, configurandosi come un approccio dualistico che sacrifica il benessere sociale sull’altare di politiche economiche discutibili e scelte strategiche di dubbia lungimiranza.
L’architettura di questa manovra si erge su due pilastri apparentemente contrapposti, ma in realtà convergenti verso un risultato problematico: una rigida disciplina finanziaria, accompagnata da un significativo incremento delle spese militari.
La prima colonna portante è rappresentata da un’austerità pervasiva, che si concretizza in tagli sistematici a settori vitali per la coesione sociale.
La sanità, già provata da anni di sottostimazione e carenze strutturali, subisce ulteriori riduzioni, mettendo a rischio l’accesso alle cure per fasce sempre più ampie della popolazione.
L’istruzione, pilastro fondamentale per lo sviluppo del capitale umano e per la mobilità sociale, vede compromessi investimenti cruciali per la formazione delle nuove generazioni.
I sistemi previdenziali, già sotto pressione demografica e finanziaria, vengono ulteriormente indeboliti, erodendo la sicurezza economica di milioni di cittadini.
Infine, i salari, erosi dall’inflazione e stagnanti da anni, faticano a garantire un tenore di vita dignitoso.
Parallelamente, assistiamo a un’accelerazione delle spese militari, con un impegno finanziario triennale di ventitré miliardi di euro.
Questa scelta appare dissonante con le pressanti necessità sociali e solleva interrogativi sulla priorità attribuita agli investimenti in sicurezza rispetto a quelli nel benessere dei cittadini.
Una politica di questo genere rischia di acuire le disuguaglianze, alimentando un circolo vizioso di impoverimento sociale e insicurezza economica.
Un ulteriore fattore di preoccupazione è rappresentato dal crescente drenaggio fiscale, aggravato dall’inflazione persistente.
Questo fenomeno erode ulteriormente il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati, contribuendo a un impoverimento generalizzato.
La situazione è resa ancora più critica dalla fuga di talenti, con un esodo di giovani, circa 175.000 negli ultimi tre anni, che abbandonano il Mezzogiorno in cerca di opportunità lavorative dignitose.
A questi giovani non si possono offrire prospettive di leva obbligatoria, né perpetuare politiche di austerità e militarizzazione.
È imperativo perseguire un approccio alternativo, che concili l’impegno per la pace con la tutela dei diritti economici e sociali.
Non si tratta di contrapporre la sicurezza nazionale al benessere della popolazione, ma di comprendere che un paese prospero e coeso è anche un paese più sicuro.
Investire in istruzione, sanità, lavoro e previdenza non è un costo, ma un investimento nel futuro, un investimento nella stabilità e nella prosperità di tutta la nazione.
La vera sicurezza di un paese si misura non solo dalla forza delle sue armi, ma dalla capacità di garantire a tutti i suoi cittadini una vita dignitosa e un futuro di speranza.
È necessario un cambio di rotta, una visione politica che metta al centro le persone, non le armi.






