L’eco delle assemblee mattutine si è trasformata in un’azione concreta: i lavoratori diretti e del subappalto, affiancati dalle rappresentanze sindacali, hanno avviato un’occupazione dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto, dando vita a un presidio permanente e a blocchi stradali che interrogano la tenuta del piano industriale presentato.
Il coro unanime, un vibrante “vergogna”, incanala la rabbia e la frustrazione di una comunità che si sente tradita, indirizzando le critiche sia verso l’esecutivo che verso i commissari incaricati della gestione del complesso industriale.
L’azione di protesta non si limita a una contestazione superficiale, ma esprime una richiesta precisa e articolata.
Al centro della rivendicazione c’è la necessità di una profonda revisione del piano industriale, percepito come inadeguato a garantire un futuro sostenibile per l’area.
I lavoratori non si accontentano di promesse vaghe, ma pretendono garanzie tangibili e vincolanti in tre ambiti cruciali: la decarbonizzazione, che deve essere percorsa con responsabilità sociale e ambientale, preservando al contempo il tessuto occupazionale; il futuro produttivo, che deve basarsi su tecnologie innovative e diversificazione delle attività; e, soprattutto, la tutela dell’occupazione, con misure concrete per evitare licenziamenti e favorire la riqualificazione professionale.
La decisione di occupare lo stabilimento e bloccare le strade non è una scelta impulsiva, ma una risposta disperata di fronte a un piano industriale che rischia di perpetuare un modello economico obsoleto e socialmente insostenibile.
Si tratta di un gesto che mira a forzare la mano del governo e dei commissari, sollecitando una immediata riconvocazione del tavolo di confronto a Palazzo Chigi.
L’obiettivo è quello di riaprire un dialogo costruttivo, fondato sulla trasparenza e sulla partecipazione attiva delle parti sociali, al fine di elaborare un piano industriale che tenga conto delle esigenze e delle preoccupazioni dei lavoratori, delle comunità locali e dell’ambiente.
La protesta, quindi, non è solo una battaglia per il diritto al lavoro, ma una rivendicazione di giustizia ambientale e sociale, un appello a un futuro più equo e sostenibile per Taranto e per l’Italia intera.
Il grido “vergogna” è un monito, un campanello d’allarme che richiama alla responsabilità di chi detiene il potere di decidere il destino di un intero territorio.






