Il recente episodio di violenza a Washington, che ha strappato via dalla vita Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, ha riacceso il dibattito internazionale sulla complessità del conflitto israelo-palestinese e sulle responsabilità politiche che ne derivano. In questo contesto, le dichiarazioni del leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, hanno suscitato un acceso confronto, focalizzandosi non tanto su un giudizio complessivo verso lo Stato di Israele, quanto sulla critica serrata rivolta all’operato del premier Netanyahu e del suo governo.La questione sollevata da Conte trascende la semplice condanna di un atto terroristico, assumendo una valenza geopolitica di notevole importanza. L’analisi proposta suggerisce che le politiche aggressive e, a suo dire, “criminali” di Netanyahu, pur perseguendo la sicurezza della comunità israeliana attraverso un esercito tecnologicamente avanzato, generano un’escalation di odio e ostilità a livello globale, esponendo gli ebrei di tutto il mondo a un crescente rischio di discriminazione e violenza. Si tratta di un’accusa grave, che implica una correlazione tra azioni governative interne e conseguenze esterne, un fenomeno spesso trascurato nell’analisi del conflitto.Conte ha esplicitamente sottolineato di non aver mai messo in discussione l’esistenza dello Stato di Israele, ma ha insistito sulla necessità impellente di contrastare, con ogni mezzo a disposizione, le azioni del governo Netanyahu. La richiesta di un “embargo totale” e di sanzioni finanziarie, economiche e diplomatiche, inclusa una revisione dell’accordo UE-Israele, non si configura come un attacco all’entità israeliana, bensì come un tentativo di esercitare pressione per indurre un cambiamento di rotta nelle politiche governative. Si propone una linea d’azione volta a isolare, non a delegittimare, un leader politico.Il riferimento all’astensione dell’Italia alle Nazioni Unite, in occasione di votazioni volte a censurare Israele, evidenzia una contraddizione interna alla politica italiana, dove la retorica di condanna si scontra con l’inerzia diplomatica. Questa omissione è interpretata come un’omissione morale, un mancato riconoscimento della gravità delle accuse di “genocidio in atto” e di “condotta criminale” rivolte al governo israeliano.La riflessione di Conte apre un interrogativo fondamentale: è possibile garantire la sicurezza e la stabilità di una nazione attraverso politiche aggressive e militarizzate, senza alimentare un circolo vizioso di violenza e ostilità a livello globale? La risposta, secondo la prospettiva offerta, è negativa, e richiede un cambio di paradigma, basato su una diplomazia più incisiva, su sanzioni mirate e su una revisione profonda degli accordi internazionali. Il tentativo è quello di porre l’accento non sul “chi”, ma sul “come” si persegue la sicurezza, e di denunciare le conseguenze negative derivanti da approcci considerati obsoleti e dannosi.