La recente sentenza del Tribunale di Bologna, con la giudice Alessandra Cardarelli, riapre un dibattito cruciale in materia di sanzioni amministrative per eccesso di velocità, focalizzandosi sul rapporto tra approvazione e omologazione degli autovelox.
La decisione, che rigetta l’appello di un cittadino contestando una multa per aver superato il limite di velocità (67 km/h in una zona a 50 km/h), assume rilevanza soprattutto perché si pone in contrasto con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.
10505/2024, introducendo una nuova interpretazione del Codice della Strada.
Il fulcro della controversia risiede nella validità giuridica di un verbale di accertamento emesso sulla base di rilevazioni effettuate da un autovelox “approvato” dal Ministero dei Trasporti, ma non “omologato”.
Tradizionalmente, la distinzione tra i due termini assumeva una rilevanza pratica significativa: l’omologazione implicava un processo di verifica più rigoroso e approfondito, con un controllo sulla conformità del dispositivo a standard tecnici specifici.
L’approvazione, invece, garantiva che l’apparecchio rispettasse i requisiti minimi per l’utilizzo nel controllo della velocità, ma senza lo stesso livello di scrutinio.
La giudice Cardarelli, nella sua decisione, adotta un approccio interpretativo che equipara i due procedimenti, ritenendo che l’articolo 142 del Codice della Strada debba essere letto in sinergia con l’articolo 201, il quale fa riferimento all’utilizzo di apparecchiature “omologate ovvero approvate”.
L’interpretazione privilegia la volontà del legislatore di attribuire la stessa efficacia giuridica a entrambe le forme di procedura di verifica, superando una dicotomia che aveva generato incertezze interpretative e contenzioso.
È importante sottolineare che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, in particolare con la sentenza 10505/2024, aveva rafforzato la necessità di distinguere le due figure, ponendo maggiore enfasi sulla necessità dell’omologazione per la validità del verbale.
La sentenza di Bologna, pur riconoscendo l’esistenza di questa giurisprudenza, opta per una diversa lettura, in linea con l’interpretazione prevalente fino alla recente pronuncia della Cassazione.
La sentenza non si limita a chiarire la questione dell’approvazione e dell’omologazione, ma ribadisce un principio fondamentale per la tutela dei diritti del presunto trasgressore.
Anche in caso di accoglimento della distinzione tra omologazione e approvazione, l’onere della prova del malfunzionamento dell’apparecchio ricade sul conducente.
Quest’ultimo deve dimostrare specificamente che l’autovelox non ha operato correttamente o che i dati rilevati sono inaccurati.
In assenza di una prova concreta, il verbale rimane valido.
Nel caso specifico esaminato, l’appellante non ha presentato elementi di prova che mettessero in dubbio la corretta funzionalità dello strumento di rilevazione, né ha contestato la sua presenza sulla strada o la velocità effettivamente percorsa.
Questo silenzio assenso, implicitamente, ha confermato la validità dell’accertamento.
La decisione del Tribunale di Bologna apre a nuove prospettive interpretative e potrebbe influenzare la giurisprudenza futura in materia di sanzioni per eccesso di velocità, in attesa di un ulteriore approfondimento da parte della Corte di Cassazione, che sarà chiamato a dirimere definitivamente la questione.
Resta il fatto che la sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per la comprensione del delicato equilibrio tra l’efficienza del controllo della velocità e la tutela dei diritti dei cittadini.