La sentenza della Corte di Cassazione conferma l’impianto accusatorio nei confronti di un’organizzazione criminale operante nel quartiere Pilastro di Bologna, segnando una tappa significativa in un’indagine complessa e dolorosa, le cui radici affondano in una spirale di violenza e traffico di sostanze stupefacenti tra il 2019 e il 2020. L’inchiesta, inizialmente innescata dall’efferato omicidio di Nicola Rinaldi, avvenuto in via Frati nell’agosto del 2019, ha portato alla luce una rete strutturata di attività illecite e ha coinvolto numerosi individui, alcuni dei quali legati da vincoli familiari, di origine tunisina.L’indagine, meticolosamente coordinata dai magistrati Roberto Ceroni e Marco Imperato, ha rivelato un sistema consolidato di distribuzione di droga, con ramificazioni che si estendevano all’interno del tessuto sociale del quartiere. Il caso ha assunto risonanza nazionale a seguito di un episodio controverso che ha visto il leader della Lega, Matteo Salvini, presentarsi a una dimora abitata dalla famiglia al centro dell’indagine durante la campagna elettorale per le elezioni regionali emiliane del 2020, interrogando in maniera diretta sulla presenza di spacciatori. L’episodio, ampiamente criticato, ha evidenziato la delicata commistione tra dinamiche politiche e problematiche sociali di forte impatto.Il processo penale, articolato in diverse fasi, ha visto il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) Sandro Pecorella condannare in primo grado ben 21 persone, con pene che si elevavano fino a 14 anni di reclusione. La successiva fase d’appello ha comportato alcune revisioni delle condanne, e la Corte di Cassazione ha ora emesso la sua sentenza definitiva su 14 imputati, confermando l’accusa di associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti per la maggior parte degli stessi.Un aspetto cruciale della sentenza riguarda l’annullamento con rinvio, disposto a favore di un imputato albanese, assistito dagli avvocati Simone Romano e Roberto Filocamo, precedentemente condannato in appello a otto anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione. Il punto contestato era il suo presunto ruolo di promotore dell’associazione, una tesi che la difesa aveva vigorosamente contestato. La decisione della Cassazione apre la strada ad un nuovo grado di giudizio d’appello, con l’obiettivo di approfondire le dinamiche interne al gruppo criminale e di accertare con maggiore precisione il grado di responsabilità dell’imputato. Analogamente, sono stati disposti ulteriori giudizi d’appello per altri tre imputati, con specifiche limitazioni di ambito, mirati a dirimere questioni residue relative alla continuazione tra i diversi reati commessi.La sentenza della Cassazione non solo rappresenta una vittoria per la giustizia, ma sottolinea anche l’importanza di un’indagine complessa e approfondita per smantellare organizzazioni criminali radicate nel tessuto sociale e per garantire la tutela della collettività. Il caso Pilastro, con le sue implicazioni politiche e sociali, testimonia la necessità di un impegno costante nella lotta alla criminalità organizzata e nella promozione di una cultura della legalità.
Bologna, Pilastro: Cassazione conferma l’accusa su rete criminale
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