Un’ombra gravissima si addensa sul territorio di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, a seguito di un’indagine giudiziaria che svela un quadro inquietante di potenziali reati ambientali e manipolazione di documenti ufficiali.
Al centro della vicenda, una discarica abusiva di dimensioni colossali, stimata in oltre 900.000 tonnellate di scorie derivanti dalla produzione di acciaio, materiale non sottoposto a trattamenti di neutralizzazione e potenzialmente capace di compromettere in maniera irreversibile le falde acquifere sottostanti.
L’accusa è di aver superato i limiti di legge per la presenza di metalli pesanti come il ferro e l’arsenico, elementi tossici che, inquinando le acque, rappresentano una seria minaccia per la salute pubblica e per l’ecosistema locale.
L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia sotto la direzione del magistrato Calogero Gaetano Paci, supportata dall’impegno dei Carabinieri, con il contributo specialistico del Nipaaf (Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale), solleva pesanti sospetti di un sistema collusivo finalizzato a nascondere la gravità della situazione.
Si ipotizza che funzionari dell’ente di controllo, con azioni fraudolente e alterazione intenzionale dei dati, abbiano tentato di occultare le responsabilità e di minimizzare l’impatto ambientale dello smaltimento illegale.
Le indagini hanno portato a perquisizioni e sequestri presso le sedi legali e operative di due società coinvolte, oltre che negli studi di professionisti, rivelando un quadro di attività illecite protrattesi nel tempo, dal 2016 ad oggi.
Il presunto “falso ideologico in atti pubblici” è contestato a cinque dipendenti del servizio territoriale dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia, accusati di aver redatto rapporti di controllo alterati, attribuendo il superamento dei limiti di inquinamento a caratteristiche naturali del terreno, anziché alle pratiche di smaltimento abusive.
Questo meccanismo, se confermato, costituirebbe una deliberata deliberazione di ostacolare le indagini e proteggere gli interessi di chi beneficiava di questa attività illegale.
La rete degli indagati, composta da nove persone di età compresa tra i 34 e gli 82 anni, con residenze distribuite tra la Bassa Reggiana, Parma e il Modenese, suggerisce una struttura organizzata e radicata nel territorio.
L’indagine non si limita a sanzionare un singolo episodio, ma punta a ricostruire le dinamiche e le responsabilità di un sistema che ha permesso l’accumulo di una quantità ingente di rifiuti pericolosi, con potenziali conseguenze a lungo termine sull’ambiente e sulla salute delle comunità locali.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla trasparenza e l’efficacia dei controlli ambientali, e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di prevenzione e repressione dei reati ambientali, garantendo la tutela del patrimonio naturale e la protezione della salute pubblica.
La giustizia, ora, dovrà fare luce sull’intera vicenda, accertando le responsabilità individuali e collettive e ripristinando l’integrità del sistema di controllo ambientale.






