La recente sentenza della Corte di Cassazione nel caso di Giovanni Padovani, condannato all’ergastolo per il brutale femminicidio di Alessandra Matteuzzi, ha riaffermato principi fondamentali in materia di responsabilità penale e valutazione degli elementi psicologici a discapito di una presunta diminuzione della capacità di intendere e di volere.
La decisione, che ha rigettato il ricorso della difesa, evidenzia come, in linea generale, alterazioni caratteriali, disarmonie emotive e stati passionali, pur potendo essere rilevanti in altri contesti, non inficiano l’imputabilità a meno che non si inseriscano in un quadro complessivo di infermità mentale diagnosticata e certificata.
Il caso Padovani, segnato da una violenza inaudita – calci, pugni, colpi di martello e l’uso di una panchina come arma – era stato oggetto di un’accesa disputa riguardante la valutazione della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto.
La difesa aveva contestato la sentenza di appello, sostenendo che non avesse adeguatamente considerato l’impatto di un “grave turbamento emotivo” sulla capacità di intendere e di volere di Padovani.
Questa argomentazione si basava su perizie psichiatriche provenienti da diverse carceri, che avrebbero rilevato disturbi di personalità.
Tuttavia, la Cassazione ha ribadito la coerenza della sentenza di appello, che, in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato (art.
90 c.
p.
), aveva accolto le conclusioni della perizia psichiatrica di primo grado, che attestava la piena capacità di intendere e di volere di Padovani.
La Corte ha sottolineato come, pur non ignorando le argomentazioni e le perizie presentate dalla difesa, queste siano state esaminate e confutate, dimostrando un’applicazione del sistema processuale che va al di là del mero obbligo formale.
Questo approccio sottolinea l’importanza di una valutazione critica e approfondita delle competenze specialistiche, e non un’automatica o superficiale accoglienza di tali pareri.
La decisione della Corte ha inoltre confermato l’esistenza della premeditazione, elemento aggravante cruciale nel definire la gravità del reato.
La Cassazione ha evidenziato come la sentenza di appello avesse correttamente identificato gli elementi di fatto che supportano la presenza di un proposito omicida radicato e persistente nella psiche dell’imputato, elemento distintivo dell’aggravante in questione.
Il caso, che vede l’avvocato Gabriele Bordoni difendere Giovanni Padovani e gli avvocati Antonio Petroncini e Chiara Rinaldi rappresentare i familiari della vittima come parte civile, pone quindi una questione di principio fondamentale: la salvaguardia del principio di responsabilità penale, bilanciata dalla necessità di considerare, con rigore scientifico e giuridico, le implicazioni di eventuali disturbi psicologici, ma senza permettere che questi siano strumentalizzati per attenuare o escludere la responsabilità per crimini di tale ferocia.
Il verdetto riafferma la centralità della valutazione della capacità di intendere e di volere, ma ne delimita i confini, escludendo che alterazioni emotive o caratteriali, isolate, possano giustificare l’esenzione dalla pena per crimini così efferati.






