La vicenda di un giovane di diciotto anni, nato in Italia da genitori brasiliani, incarna una profonda riflessione sulle complessità dell’integrazione e sull’applicazione delle leggi sulla cittadinanza in casi di disabilità. La sua storia, resa pubblica dalla sorella Aisha alla Gazzetta di Modena, mette a galla un intricato nodo burocratico che ritarda l’acquisizione della cittadinanza, allungando i tempi a causa della sua condizione di disabilità completa e della sua impossibilità di esprimere verbalmente la propria volontà.La normativa italiana prevede che i minori stranieri nati in Italia possano richiedere la cittadinanza al compimento della maggiore età. Tuttavia, la necessità di una dichiarazione personale di volontà, un requisito fondamentale per l’iter di naturalizzazione, si rivela un ostacolo insormontabile per questo giovane. L’assenza di comunicazione verbale, unitamente alla sua disabilità, lo esclude *de facto* dalla possibilità di seguire il percorso standard previsto dal Comune.La madre, tutore legale del figlio, si è trovata così costretta a intraprendere un iter più complesso e prolungato, delegato alla Prefettura. Questa procedura, intrinsecamente più lenta e gravata da maggiori oneri amministrativi, rischia di posticipare l’ottenimento della cittadinanza di anni, una prospettiva desolante per una famiglia che aspira all’integrazione e all’appartenenza.L’episodio del tentativo di interrogatorio diretto al giovane, descritto dalla sorella Aisha, evidenzia una certa rigidità nell’applicazione delle procedure, con scarso riguardo per le specificità del caso. La madre, già in difficoltà a causa della sua limitata conoscenza della lingua italiana e del suo marcato accento brasiliano, si è sentita umiliata e inadeguata in una situazione che le è apparsa ingiusta e persino derisoria.La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla necessità di un approccio più flessibile e sensibile nell’interpretazione delle leggi sulla cittadinanza, soprattutto quando si tratta di persone con disabilità. Si rende urgente una riflessione sulla possibilità di prevedere meccanismi alternativi per accertare la volontà di un individuo che non può comunicare verbalmente, magari attraverso la valutazione di un medico legale o di un tutore professionale, il cui parere possa essere considerato valido ai fini dell’ottenimento della cittadinanza.L’intervento del sindaco di Modena, Massimo Mezzetti, che si è mostrato disponibile a monitorare l’andamento della pratica, rappresenta un segnale positivo, ma non risolve di per sé il problema di fondo. La storia di questo giovane è un campanello d’allarme che invita a un cambiamento culturale e procedurale, volto a garantire pari opportunità di integrazione per tutti, indipendentemente dalle proprie condizioni fisiche o linguistiche. Aisha, con la sua denuncia, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e a offrire supporto ad altre famiglie che potrebbero trovarsi ad affrontare situazioni simili, sottolineando l’importanza di una giustizia inclusiva e attenta alle fragilità individuali. Il diritto all’appartenenza non può essere negato sulla base di barriere comunicative o pregiudizi culturali.
Cittadinanza negata: un giovane disabile tra leggi e barriere.
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