L’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) Janos Barlotti in merito alla vicenda di Mattia Missiroli, sindaco di Cervia, solleva una complessa questione di interpretazione giuridica che va oltre la semplice valutazione della credibilità della testimonianza della moglie.
La richiesta di custodia cautelare avanzata dalla Procura di Ravenna, in seguito alle denunce presentate dall’inquisita, è stata rigettata, non per mancanza di elementi a supporto della versione della donna, bensì per una difficoltà nell’inquadramento del comportamento dell’uomo nel reato di maltrattamenti in famiglia, un aspetto cruciale ai fini della configurabilità del reato stesso.
Il GIP ha riconosciuto l’attendibilità complessiva delle dichiarazioni della moglie, corroborata da evidenze mediche e fotografiche che documentano lesioni e sofferenze.
Tuttavia, ha espresso riserve circa la qualificazione giuridica dei fatti descritti, ritenendo che i conflitti e le dinamiche separate che hanno caratterizzato il loro rapporto, pur dolorose e preoccupanti, non raggiungano la soglia di gravità e sistematicità richiesta dalla legge per poter configurare il reato di maltrattamenti.
Non si tratta, quindi, di sminuire la sofferenza della donna, bensì di applicare rigorosamente i criteri interpretativi che caratterizzano il sistema giuridico italiano in materia di violenza domestica.
L’episodio più recente, del 5 dicembre, con una prognosi di sette giorni per la vittima, ha contribuito alla decisione del GIP nel ritenere non attuale la necessità di una misura cautelare in carcere.
La fuga dell’aggressore, seppur temporanea, non ha, di per sé, generato la necessità di una detenzione preventiva.
La Procura, tuttavia, difende una posizione contraria, sostenendo, attraverso le indagini condotte dalla polizia e le argomentazioni del Pubblico Ministero Angela Scorza, l’esistenza di un pericolo concreto di ripresa della condotta violenta.
Il PM sottolinea una storia di comportamenti aggressivi protrattasi nel tempo, con una mancanza di reale pentimento da parte dell’uomo.
La pericolosità sociale emerge dalla disarmonia tra la gravità delle aggressioni e la banalità dei motivi scatenanti, un indicatore spesso considerato nelle valutazioni di rischio.
Particolarmente rilevante è la circostanza che Missiroli abbia più volte spinto la moglie a terra, un gesto potenzialmente idoneo a causare lesioni gravi.
La decisione del GIP, quindi, non implica un giudizio definitivo sulla colpevolezza o innocenza di Missiroli, ma solleva interrogativi sulla definizione stessa di “maltrattamenti in famiglia” e sull’interpretazione dei criteri di gravità e abitualità richiesti dalla legge.
La vicenda evidenzia la complessità di un tema delicato, dove l’applicazione rigorosa dei principi giuridici deve bilanciarsi con la tutela della vittima e la prevenzione della violenza.
La Procura, a questo punto, ha la facoltà di presentare ricorso in appello al Tribunale di Bologna, dove la decisione del GIP sarà riesaminata.
La vicenda si configura quindi come un caso emblematico che potrebbe portare a un dibattito più ampio sui limiti e le sfide dell’applicazione della legge in materia di violenza domestica.






