La sparizione di Elia Del Grande dalla casa-lavoro di Castelfranco Emilia (MO) ha riacceso i riflettori su una vicenda umana e giudiziaria dalle implicazioni complesse, sollevando interrogativi profondi sul sistema penitenziario, sulla gestione dei soggetti a rischio e sulla natura della redenzione.
Un video, divenuto rapidamente virale, immortalò il momento in cui l’uomo, sfruttando una corda legata al palo di una telecamera di sicurezza, si calò in libertà, un atto che sembra incrinare il tentativo di reinserimento sociale a cui era stato sottoposto.
La vicenda si intreccia con un passato gravissimo: nel 1996, a Cadrezzate (VA), Del Grande, allora ventiduenne, commise una strage familiare, uccidendo i suoi genitori e il fratello, un evento che scosse profondamente l’opinione pubblica e che ha segnato in modo indelebile la sua esistenza.
La condanna a trent’anni di reclusione, di cui ha scontati venticinque, ha rappresentato un percorso di espiazione, ma la sua natura intrinsecamente problematica, manifestata anche attraverso episodi di microcriminalità e conflitti con la comunità di Olbia dopo la prima scarcerazione, ha reso necessario un monitoraggio costante e una collocazione in una struttura specializzata.
La casa-lavoro di Castelfranco Emilia, un modello ibrido che combina elementi di detenzione e di vita in comunità, era stata ritenuta il luogo ideale per un percorso di transizione verso la piena libertà.
Strutture di questo tipo, spesso accolgono individui con profili complessi, caratterizzati da disturbi comportamentali, problematiche di dipendenza o storie di violenza, e offrono opportunità di lavoro e formazione professionale.
La fuga di Del Grande, tuttavia, pone una seria interrogazione sull’efficacia di tali approcci e sulla possibilità di gestire con successo soggetti che presentano un alto grado di pericolosità sociale.
Le indagini, coordinate dalle forze dell’ordine, si concentrano in particolare su Emilia-Romagna, Lombardia e Sardegna, regioni con cui l’uomo ha legami significativi, ma non si esclude che possa essersi spostato anche in altre aree nazionali o internazionali.
L’attenzione è puntata anche sulla sua compagna, già sospettata nel 2015 di aver contribuito a un tentativo di evasione dal carcere di Pavia, sollevando interrogativi sul suo ruolo e sulle sue possibili complicità.
L’evento riapre un dibattito cruciale: fino a che punto la riabilitazione può essere considerata completa? E quali sono i limiti di un sistema penitenziario che mira alla reintegrazione, ma che deve anche garantire la sicurezza della collettività? La sparizione di Del Grande rappresenta non solo una sfida operativa per le forze dell’ordine, ma anche un momento di riflessione profonda sui principi fondamentali della giustizia e della responsabilità.
La vicenda, a distanza di anni, continua a generare un sentimento di profonda inquietudine, alimentando un interrogativo persistente: è davvero possibile cancellare il passato e offrire una seconda possibilità a chi ha commesso atti di tale gravità?






