La recente udienza presso il Tribunale dei Minori di Bologna si è configurata come un momento di profonda commozione, un atto di giustizia che ha voluto dare voce a chi non può più parlare: Danila e Mou, i genitori di Fallou Sall, strappato alla vita a soli 16 anni.
L’atmosfera, descritta dall’avvocata Loredana Pastore, era densa di un dolore palpabile, un dolore che si manifestava nel tentativo di restituire a Fallou un’identità, un’immagine al di là della tragica fine.
I genitori hanno dipinto il ritratto di un ragazzo costruito sull’equilibrio tra rigore educativo e libertà emergente.
L’imposizione di orari precisi, la cura della sua crescita affettiva e culturale, si intrecciavano con la graduale concessione di autonomia, come testimonia la prima esperienza di viaggio da solo al mare, un rito di passaggio nell’età dell’adolescenza.
Il recente ritorno dal Senegal, terra dei nonni, ha rappresentato un momento di profonda connessione con le sue radici, un arricchimento emotivo e culturale che ha contribuito a plasmare il suo carattere.
Fallou, secondo quanto emerso dalle loro parole, incarnava un ideale di pacificatore, un ragazzo capace di mediare e di stemperare le tensioni, uno sportivo energico e privo di atteggiamenti problematici.
L’estate precedente alla sua morte, un periodo di effervescenza giovanile, era segnata dalle prime esperienze di indipendenza, dalle uscite con gli amici che segnano il confine tra l’infanzia e l’età adulta.
Il racconto delle ultime ore di Fallou, come trasmesso dalle testimonianze dei genitori, offre uno spaccato di una quotidianità interrotta bruscamente.
Il momento conviviale della pizza con i nonni, un’esperienza carica di significato affettivo, contrasta amaramente con la successiva, devastante telefonata che ha comunicato la tragedia.
La reazione del padre, un crollo emotivo che lo ha immobilizzato al suolo, è l’immagine più cruda e dolorosa di un lutto impossibile da elaborare.
La testimonianza dei genitori, lungi dall’essere un mero resoconto di eventi, si configura come un atto di resistenza contro l’assurdità della violenza, un tentativo di preservare la memoria di un figlio che ha perso la possibilità di costruire il proprio futuro.
È una narrazione che invita a riflettere sulle radici del conflitto, sulla fragilità dell’adolescenza e sulla necessità di promuovere una cultura della non-violenza, in cui il coraggio di intervenire a difesa dei più deboli non venga pagato con la vita.







