La Procura della Repubblica di Modena, a distanza di quasi un anno da un’ordinanza di rilancio delle indagini, ha nuovamente richiesto l’archiviazione del caso relativo alla rivolta del 8 marzo 2020 nel carcere di Sant’Anna, evento tragico che costò la vita a nove detenuti nel pieno della pandemia di COVID-19.
L’inchiesta, originariamente avviata a seguito di denunce di pestaggi e trattamenti inumani rivolte nei confronti del personale penitenziario, coinvolgeva un numero considerevole di agenti, circa novanta, accusati di tortura e lesioni.
La decisione, formalizzata in un corposo atto di quasi 400 pagine, si basa su un’analisi approfondita e sistematica degli elementi emersi durante le indagini, che conferma i dubbi sulla credibilità delle testimonianze dei detenuti.
Sebbene l’ordinanza precedente avesse già suggerito l’inattendibilità delle accuse, le successive attività investigative, disposte dal giudice per le indagini preliminari Carolina Clò, sono state condotte con l’obiettivo di fornire una valutazione più esaustiva.
L’esito, tuttavia, non ha apportato elementi dirompenti.
La Procura ha rilevato l’impossibilità di stabilire un nesso causale tra le lesioni riportate dai detenuti e specifiche azioni compiute dal personale penitenziario.
In altre parole, non è emerso alcun elemento probatorio in grado di dimostrare che le lesioni siano state la diretta conseguenza di condotte abusive.
Ancor più importante, l’inchiesta non è riuscita a identificare comportamenti voluti e mirati a infliggere sofferenze acute, traumi psicologici o a sottoporre i detenuti a trattamenti degradanti o inumani.
Il contesto è cruciale: la rivolta aveva di fatto consegnato il controllo dell’istituto alla popolazione carceraria, creando una situazione di grave instabilità che richiedeva interventi urgenti e massicci da parte della polizia penitenziaria per ristabilire l’ordine, garantire la sicurezza dei detenuti stessi e prevenire ulteriori violenze.
La gestione di una simile emergenza, in un ambiente complesso e potenzialmente pericoloso, poteva aver comportato decisioni operative che, seppur necessarie, potevano apparire gravose o traumatiche per i detenuti.
Parallelamente a questa inchiesta, il caso delle nove morti avvenute durante la rivolta era già stato archiviato, ma la vicenda è stata riaperta a livello internazionale.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è stata adita e si appresta a pronunciarsi, potenzialmente sollecitando ulteriori valutazioni o fornendo un’interpretazione diversa dei fatti alla luce dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La decisione della CEDU potrebbe avere implicazioni significative non solo per il caso specifico, ma anche per la prassi delle amministrazioni penitenziarie e per la protezione dei diritti dei detenuti in contesti di grave emergenza.
L’esito del giudizio europeo rappresenta quindi un ulteriore tassello in un processo complesso e delicato, volto a fare luce su una tragedia e a garantire il rispetto dei diritti fondamentali di tutte le persone coinvolte.