sabato, 14 Giugno 2025
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Obiezione di coscienza IVG in Emilia-Romagna: calo e resistenze

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In Emilia-Romagna, il fenomeno dell’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) ha mostrato una flessione significativa, passando dal 46% riscontrato nel 2020 al 38% nel 2025. Questo dato, seppur positivo, si posiziona al di sotto della media nazionale, attestatasi al 63%. Nel corso del 2024, il ricorso alla terapia farmacologica con mifepristone (RU486) ha dominato lo scenario, rappresentando il metodo utilizzato per il 73% delle IVG effettuate. Queste informazioni sono state fornite dall’Assessore Regionale alla Salute, Massimo Fabi, in risposta a un’interrogazione presentata dalla consigliera Simona Lembi (Partito Democratico) durante una seduta dell’Assemblea Legislativa, la quale ha sollecitato un’azione volta a garantire il pieno rispetto e l’applicazione della legge 194.La legge 194, approvata nel 1978, è una pietra miliare del sistema sanitario italiano, insieme ad altre due leggi fondamentali che hanno profondamente trasformato l’approccio alla salute pubblica. La sua introduzione ha permesso di estirpare la pratica dell’aborto clandestino, un fenomeno drammatico che comportava rischi enormi per la salute delle donne e un vuoto legislativo che penalizzava la loro autonomia. L’impatto della legge si riflette nella drastica diminuzione del numero di aborti praticati: dai vertiginosi 234.000 del 1983, anno di picco, si è passati a 66.400 nel 2020, un dato che l’Istituto Superiore di Sanità ha definito un “intervento di prevenzione di salute pubblica tra i più brillanti mai realizzati in Italia”, un successo misurabile in termini di salute femminile e di riduzione della mortalità materna.Tuttavia, l’effettiva implementazione della legge 194 incontra ancora delle resistenze sul territorio nazionale. In alcune regioni, la percentuale di personale sanitario – ginecologi, anestesisti e infermieri – che si avvale del diritto di obiezione di coscienza raggiunge livelli allarmanti, creando barriere significative all’accesso all’IVG nelle strutture pubbliche. Questa situazione non solo limita l’esercizio di un diritto costituzionale, ma solleva interrogativi sull’equità di garantire un servizio sanitario equo e accessibile a tutte le donne, indipendentemente dalla loro posizione geografica o dalle loro convinzioni personali. La difficoltà nell’accesso all’IVG, in queste aree, può spingere le donne a ricorrere a pratiche clandestine, con conseguenze potenzialmente gravi per la loro salute fisica e psicologica, vanificando così gli obiettivi di tutela e prevenzione che la legge 194 si prefiggeva di raggiungere. È cruciale, pertanto, un impegno costante da parte delle istituzioni sanitarie per superare queste resistenze e assicurare un’applicazione uniforme e completa della legge, promuovendo al contempo la consapevolezza e l’educazione sessuale come strumenti fondamentali per la salute riproduttiva femminile.

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