La certezza giuridica, pilastro fondamentale del sistema processuale, subisce un’ulteriore erosione con il rigetto da parte della Corte d’appello di Perugia della richiesta di revisione del processo che vide condannato all’ergastolo il commercialista Andrea Rossi per l’omicidio di Vitalina Balani.
Il fulcro della vicenda, e l’oggetto del contrasto tra accusa, difesa e organo giudicante, ruota attorno all’individuazione precisa del *tempus commissi delicti*, ovvero il momento esatto in cui Vitalina Balani, anziana bolognese trovata senza vita nel proprio domicilio il 15 luglio 2006, cessò la sua esistenza.
La precedente condanna, divenuta definitiva nel 2010, si fondava su una ricostruzione temporale che collocava la morte tra le 13.
30 e le 14 del 14 luglio.
Questa cronologia apparentemente consolidata è stata messa in discussione da una nuova perizia medico-legale, presentata dalla difesa, che sosteneva uno spostamento significativo dell’orario decesso, collocandolo tra le 22 del 14 luglio e le prime ore del 15.
Un cambiamento di tale portata avrebbe potuto erigere una solida barriera per la difesa, fornendo a Rossi un alibi plausibile che avrebbe inficiato la validità della sentenza originaria.
Tuttavia, la Corte d’appello ha respinto la richiesta di revisione, ribadendo la priorità delle precedenti indagini e, implicitamente, screditando la nuova perizia.
L’analisi della Corte si concentra sull’impossibilità di sostenere la versione difensiva, evidenziando l’assenza di un alibi concreto per Rossi nell’intervallo temporale che va dalle 21 del 14 luglio alle prime ore del 15.
Anche ammettendo una potenziale finestra temporale in cui un alibi parziale potrebbe essere formulato, questa si rivela insufficiente a giustificare una revisione del processo.
Il movente economico, un elemento cruciale nell’indagine, resta inequivocabile: Rossi era debitore nei confronti della Balani per una somma superiore ai due milioni di euro.
Questa circostanza, unitamente alla fragilità dell’alibi proposto, contribuisce a rafforzare il quadro accusatorio e a negare alla difesa la possibilità di ottenere una nuova valutazione della vicenda.
La vicenda solleva interrogativi complessi riguardo al peso delle nuove prove, all’interpretazione delle perizie medico-legali e alla resilienza della presunzione di innocenza in un contesto di forti pressioni e indizi circostanziali.
La sentenza della Corte d’appello, pur mantenendo inalterata la condanna, lascia aperta la questione del ruolo del dubbio nel sistema giudiziario e della sua incidenza sulla determinazione della verità processuale.