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Tragedia a Parma: Detenuto si suicida, sesta Vittima Quest’anno

Un tragico evento ha scosso il carcere di Parma: un detenuto di 53 anni, condannato ad alta sicurezza per associazione a delinquere e con una data di fine pena prevista per il 2034, ha posto termine alla propria vita intorno alle 17:20, impiccandosi nella sua cella.

La notizia, comunicata dal Garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, Roberto Cavalieri, riemerge in un contesto allarmante di drammi simili, riportando alla luce un quadro inquietante della condizione carceraria nella regione.

L’episodio presenta inquietanti parallelismi con il suicidio avvenuto a Ferragosto dell’anno precedente, perpetrato da un detenuto di origine tunisina nella cella 3 dello stesso istituto; l’uomo si è suicidato nella cella 4, sottolineando una persistente criticità strutturale e gestuale che non può essere ignorata.
Questo decesso si aggiunge a una sequenza di sei altri suicidi verificatisi in carceri emiliano-romagnole dall’inizio dell’anno, distribuite tra Modena (4 casi), Bologna e Reggio Emilia.

Un bilancio devastante che solleva interrogativi urgenti sulla salute mentale dei detenuti e sull’efficacia dei protocolli di prevenzione del suicidio.

Il detenuto, in stato di isolamento dal 2 maggio per problematiche sanitarie, aveva precedentemente manifestato un tentativo di autolesione a metà giugno, ingerendo pile, circostanza che aveva portato ad una sorveglianza passiva senza, apparentemente, rilevare un rischio suicidario elevato.
La Procura, autorizzando il rilascio della salma ai familiari, ha rinunciato ad eseguire l’autopsia, perdendo potenzialmente preziose informazioni per comprendere le dinamiche che hanno portato a questo tragico gesto.

Il Garante Cavalieri pone l’attenzione sulle sezioni Iride del carcere di Parma, evidenziando come i suicidi degli ultimi anni siano stati concentrati in queste aree.
La sua analisi si distanzia da spiegazioni semplicistiche legate al sovraffollamento o alle condizioni climatiche estive, concentrandosi invece su un fattore cruciale: il rischio suicidario intrinseco associato alla prolungata permanenza in isolamento.
Non si tratta di un mero caso isolato, ma di una tendenza statisticamente rilevabile, indicativa di una gestione degli isolamenti profondamente problematica.

La prolungata privazione di contatto umano e di stimoli sociali, protrattasi per tre mesi, viene considerata una violazione della dignità umana, un elemento di distruzione della psiche che mina irrimediabilmente la resilienza del detenuto.

L’episodio riapre il dibattito sulla necessità di una revisione radicale delle politiche di isolamento carcerario, non solo in Emilia-Romagna, ma a livello nazionale.
È imperativo implementare misure più efficaci per la valutazione del rischio suicidario, garantire un supporto psicologico continuo e prevedere alternative all’isolamento prolungato, come percorsi di reinserimento sociale e programmi di attività terapeutiche.
La dignità umana, anche all’interno delle strutture carcerarie, deve rappresentare un valore imprescindibile, un principio guida per ogni decisione e ogni azione.

Il silenzio e l’inerzia non sono più un’opzione percorribile.

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