Un’operazione congiunta della Guardia di Finanza di Piacenza, coordinata dalla Procura locale, ha svelato un sofisticato schema di frode fiscale che ha inteso danneggiare l’Erario per un valore complessivo stimato in oltre cinque milioni di euro.
L’attività d’indagine ha portato al sequestro preventivo d’urgenza di ingenti somme di denaro e beni immobiliari, coinvolgendo un professionista con sede a Roma, un amministratore di fatto di una società piacentina e un ulteriore soggetto, tutti accusati di indebita compensazione, truffa aggravata e concorso in reato.
L’inchiesta, che ha coinvolto anche dieci ulteriori indagati – tra cui amministratori di fatto e rappresentanti legali di imprese situate in Lazio e Campania – ha ricostruito un meccanismo complesso volto alla creazione e alla commercializzazione di crediti fiscali inesistenti.
Al cuore dell’inganno risiede una strategia basata sulla simulazione di canoni di locazione di immobili non abitativi e di affitti d’azienda, generando fittizi crediti d’imposta.
Secondo le indagini, il professionista romano avrebbe orchestrato e diretto l’intero sistema fraudolento, avvalendosi di un’architettura finanziaria opaca.
I crediti fittizi venivano poi trasferiti attraverso una catena di società “di comodo”, progettate per facilitare la manipolazione dei flussi finanziari e nascondere le reali dinamiche operative.
Queste società, agendo come intermediari, rivendevano i crediti a diverse aziende, che li utilizzavano poi per compensare i propri debiti tributari, approfittando di una falla nel sistema di controllo dei crediti d’imposta.
Tra le aziende che hanno beneficiato, seppur inconsapevolmente, della frode, figura una società piacentina operante a livello nazionale e spesso beneficiaria di appalti pubblici.
Quest’ultima avrebbe indebitamente compensato crediti inesistenti per un ammontare di un milione e centocinquantamila euro, contribuendo significativamente all’ammontare complessivo del danno erariale.
Le indagini hanno inoltre rivelato connessioni inquietanti con la criminalità organizzata.
Gli importi versati per simulare l’acquisizione dei crediti d’imposta venivano indirizzati a società intestate a prestanome, alcuni dei quali con precedenti penali specifici.
Questi fondi, secondo gli inquirenti, sono stati poi trasferiti in paesi esteri non cooperativi in materia di antiriciclaggio, in particolare in Cina, suggerendo un tentativo di riciclaggio di denaro sporco e di occultamento delle tracce finanziarie.
La presenza di collegamenti con l’organizzazione criminale dei Casalesi aggiunge un ulteriore livello di gravità alle accuse.
Il sequestro preventivo, oltre alle disponibilità finanziarie sui conti correnti societari e personali, ha interessato beni immobiliari di pregio, tra cui una proprietà in Costa Smeralda (Arzachena), quattro terreni e un box auto, localizzati rispettivamente nelle province di Latina e Avellino.
L’operazione rappresenta un significativo successo nella lotta alla criminalità finanziaria e alla frode fiscale, con implicazioni potenzialmente estese a numerosi settori economici e a un complesso apparato di relazioni finanziarie internazionali.







