La disputa calcistica Virtus-Maccabi, prevista per venerdì prossimo, si prefigge di essere un evento sportivo, e tale rimarrà.
L’assenza di dinamiche destabilizzanti, di quelle preveggenze che troppo spesso hanno oscurato l’integrità dell’ambiente sportivo italiano, consente di confermare la sua regolarità.
Un’affermazione che, tuttavia, sottende una preoccupazione profonda e diffusa.
Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha espresso con chiarezza la necessità di evitare scenari che richiedano un intervento di forze dell’ordine su scala eccezionale.
La sua dichiarazione non è un’iperbole retorica, ma una constatazione pragmatica.
Si tratta di un campanello d’allarme, un monito rivolto a coloro che, sotto le vesti di tifosi, celano intenti violenti e irresponsabili.
L’episodio non concerne solamente la partita in sé, ma riflette una problematica più ampia che affligge il mondo dello sport: la persistenza di una cultura dell’aggressione, la strumentalizzazione della passione calcistica per fini estranei al gioco, la difficoltà di distinguere tra tifo genuino e intimidazione.
La sicurezza di un evento sportivo non è più una questione marginale, ma un imperativo.
Richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolga non solo le forze dell’ordine, ma anche le società sportive, le federazioni, le istituzioni educative e la stessa tifoseria.
È necessario promuovere un’educazione al rispetto delle regole, alla convivenza civile, all’accettazione della diversità.
L’intervento repressivo, seppur inevitabile in determinate circostanze, non può essere l’unica risposta.
È cruciale investire nella prevenzione, incentivando il dialogo, creando spazi di aggregazione, offrendo alternative positive ai giovani.
La partita Virtus-Maccabi, quindi, si configura come una prova di civiltà, un banco di prova per la capacità del nostro Paese di gestire la passione sportiva in modo responsabile e pacifico.
Un’occasione per dimostrare che il calcio, e lo sport in generale, può essere un veicolo di inclusione, di valori positivi, di orgoglio nazionale, e non uno strumento di divisione e di violenza.
Il futuro del tifo, e forse di una parte della nostra società, dipende anche da questo.







