L’esplorazione del seriale come forma espressiva, un percorso intrapreso con *Esterno Notte* – un’analisi potente e angosciante del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro – e ora proseguito con l’attesissima *Portobello*, dedicata alla vicenda giudiziaria di Enzo Tortora, rappresenta per Marco Bellocchio un atto di profonda riflessione e un’indagine sulla complessità del reale.
Durante l’incontro “Masters of Storytelling” all’Italian Global Series Festival, Bellocchio ha delineato le motivazioni che lo hanno spinto a plasmare queste storie in cadenze seriali, quasi come un bisogno narrativo che si dispiega idealmente in sei puntate.
*Portobello*, in procinto di debuttare su Hbo Max, si presenta come un progetto ambizioso, un affresco stratificato sulla tragica vicenda di Enzo Tortora.
Al suo fianco, un cast di interpreti di straordinaria levatura, tra cui spicca Fabrizio Gifuni, volto già iconico nella rappresentazione di Moro, affiancato da Lino Musella, Romana Maggiora Vergano, Barbora Bobulova, Carlotta Gamba, Alessandro Preziosi, Fausto Russo Alesi e Salvatore D’Onofrio.
Pur non potendo ancora svelare dettagli specifici sulla serie, Bellocchio ha sottolineato la volontà di affrontare la narrazione con un approccio che trascende l’ideologia.
Non si tratta di una rappresentazione neutrale, né di una condanna a priori, ma di una riflessione articolata sulla giustizia, intrisa di una sensibilità contemporanea, particolarmente rilevante per le nuove generazioni.
Bellocchio rifiuta la nostalgia, percependo un cambiamento radicale nel panorama culturale e sociale, un mutamento che rende obsoleti schemi interpretativi del passato.
La sua visione si concentra sulla complessità intrinseca alle vicende, rifiutando semplificazioni e maniere facili.
Nelle sue opere emerge uno sguardo personale, una firma inconfondibile che si manifesta anche attraverso una suspense che sorprende e avvince lo spettatore, un elemento che ammira e cerca di emulare nelle serie americane di qualità.
Il regista rivela una passione originaria per la storia, una disciplina scolastica che ha rappresentato la sua eccellenza.
Questa vocazione si traduce nella capacità di trasformare eventi storici in opere d’arte, attingendo a modelli come Paolo Uccello e Velázquez, maestri che hanno saputo imprimere il proprio segno distintivo nella rappresentazione di battaglie.
In *Portobello*, questo si riflette nella ricerca di una verosimiglianza dei personaggi, arricchita da elementi di inattesa eccentricità.
Fondamentale, in questa operazione, è il sodalizio creativo con Fabrizio Gifuni, un attore capace di scavare a fondo nei testi e dotato di un’innata genialità interpretativa.
Guardando al futuro, Bellocchio esprime il desiderio di ritornare a progetti più intimi, a film che possano esprimere una visione più personale.
Le sue serie, pur nella loro ampiezza, sono concepite come racconti conclusi, sebbene ammetta che la vicenda di Moro, con il suo processo di beatificazione in corso, potrebbe offrire spunti per ulteriori sviluppi.
Sarebbe, a suo dire, interessante riportare la figura di Moro al presente, ma non si sente chiamato a compiere tale operazione.
Bellocchio si dimostra un attento osservatore del panorama seriale italiano, esprimendo particolare apprezzamento per *The Young Pope* di Sorrentino e *Dostoevskij* dei fratelli d’Innocenzo, quest’ultima definita “sfidante rispetto alla banalità di certi racconti”.
Pur riconoscendo la popolarità di molte produzioni seriali, ne individua alcune come prive di ispirazione, suggerendo una preferenza per opere che osano rompere con le convenzioni e stimolare la riflessione dello spettatore.