Bhagavadgītā: Un Canto Universale che Risuona tra Mare e MemoriaSotto il sole nascente dell’Adriatico, un tamburo ancestrale risuona, convocando spettatori e attori in un viaggio che trascende i confini geografici e temporali. Da una spiaggia che porta il ricordo dell’approdo della Madonna Greca, come narrato da Dante, prende vita “Bhagavadgītā – Il Canto del Divino”, spettacolo itinerante del Ravenna Festival, in scena al Lido Adriano fino all’8 giugno. Non è semplice spettacolo, ma un’immersione profonda in un’esperienza che interroga l’animo umano. Al centro, il *Bhagavadgītā*, brano cardine del *Mahabharata*, un poema epico indiano che racconta la guerra devastante tra i Pandava e i Kaurava, due fazioni dilaniate da un conflitto fratricida. La narrazione si proietta nell’attualità, risuonando con le guerre che imperversano nel mondo e con le tensioni che lacerano le comunità.Un uomo, portatore di un cartello che recita “Free Palestine”, sembra dirigere una silenziosa orchestra di onde marine, introducendo un elemento di riflessione politica e di solidarietà umana. L’elemento centrale è l’inclusione: 150 persone, dai 4 agli 80 anni, provenienti dal Grand Teatro di Lido Adriano del Cisim, un luogo fisico e spirituale che incarna un principio fondamentale: “Arriviamo tutti o non arriva nessuno.” Questo spirito comunitario si manifesta nel 28% di residenti stranieri, nella media d’età di 37 anni e nella collaborazione tra residenti e richiedenti asilo, un vero crogiolo di culture e di esperienze. La parola d’ordine è “multi”: molteplicità di voci, di lingue, di danze, di canti. La narrazione fluisce da un registro teatrale all’altro, in un continuo rimando tra l’antico e il contemporaneo, tra il sacro e il profano. L’immagine potente che emerge è quella del nemico che si riflette in noi stessi, un invito a scrutare il proprio specchio interiore per comprendere la complessità del mondo.Il linguaggio si arricchisce di francese, arabo e bengalese, intrecciando storie di disperazione e di speranza. Il dramma del viaggio migratorio si materializza nell’immagine di un barcone bloccato da una rete da pesca, un simbolo della fragilità umana di fronte alla forza inesorabile del mare. Accanto a questo, emergono frammenti di vita quotidiana: la donna italiana intenta a cucinare, la ragazza ucraina costretta a fuggire, lasciando indietro la nonna nel giorno del suo compleanno. Ma il canto del *Bhagavadgītā* non si limita a denunciare le sofferenze del mondo. Una figura inaspettata, un Gandhi con un accento romagnolo, incarna la forza della non violenza, un antidoto alla spirale della guerra. Il lavoro collettivo si trasforma in un argine contro il fiume della disperazione, un abbraccio che protegge dalle invasioni del fango, una difesa che trasforma i sacchi di sabbia della battaglia in un rifugio sicuro. “La vita è una danza, non una guerra da vincere”, recita un messaggio che risuona nel cuore di questa “casa incantata nel bosco”, un luogo dove gli alberi dipinti sulle pareti sembrano sussurrare antiche storie. L’iniziativa è resa possibile grazie alla direzione artistica e alla regia di Luigi Dadina e Lanfranco Vicari, alla drammaturgia di Tahar Lamri e al supporto organizzativo di Federica Francesca Vicari, nonché all’ospitalità del Ravenna Festival. Un’opera corale che celebra la forza dell’umanità, la bellezza del diverso e la speranza di un futuro più giusto e pacifico.
Bhagavadgītā: Canto Universale tra Adriatico, Memoria e Pace.
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