Un’incredibile saga di ingegno, audacia e transculturazione si rivela attraverso “I fratelli Segreto”, il documentario di Federico Ferrone e Michele Manzolini, un’immersione nella storia dimenticata di un’impresa cinematografica pionieristica che ha intrecciato il destino dell’emigrazione italiana e della nascente cultura brasiliana.
Il film, presentato in anteprima a Bologna nell’ambito del Festival “Visioni Italiane”, non è semplicemente una narrazione, ma un’archeologia affettiva che scava nel passato per restituire alla luce una famiglia campana e il loro contributo inestimabile alla storia del cinema mondiale.
La storia, avvolta nel mistero e alimentata da frammenti di memoria – rare fotografie sbiadite, tracce di diari ingialliti, brevissimi filmati – racconta di tre fratelli che, spinti dalla speranza di una vita migliore alla fine del XIX secolo, lasciarono la loro terra natale per approdare in Brasile.
In un contesto storico di massiccia emigrazione italiana verso il Nuovo Mondo, questi pionieri non si limitarono a cercare fortuna, ma portarono con sé una visione: creare il primo cinematografo del Sud America, il “Salone Novidades de Paris”, un vero e proprio tempio dell’immagine in movimento.
L’impresa, condotta con risorse limitate e un’ingegnosità fuori dal comune, si rivela un esempio emblematico di autarchia creativa.
I Segreto non erano semplici operatori, ma veri e propri artigiani del cinema, capaci di concepire, costruire e gestire ogni aspetto della loro attività.
La loro visione era radicalmente differente da quella che il cinema avrebbe assunto con l’avvento dell’industrializzazione: un cinema sperimentale, legato al territorio, alla cultura locale, intriso di una sensibilità unica.
La precarietà intrinseca alla loro esistenza – simboleggiata dalla fragilità dei materiali fotografici, il nitrato, che li rendeva vulnerabili alla distruzione – si riflette nella brevità della loro parabola.
La loro scomparsa, prematura, ha contribuito a cancellare la loro storia dalle cronache, relegandola all’oblio.
Ma la loro eredità, seppur frammentaria, resiste, testimoniando una visione artistica originale e un’iniziativa culturale di straordinaria importanza.
Ferrone e Manzolini, abili narratori e ricercatori, hanno saputo ricostruire questo affascinante capitolo dimenticato, arricchendolo con la voce evocativa di Nello Mascia e le musiche suggestive di Simonluca Leitempergher.
Il documentario, che si inserisce nel solido percorso creativo dei due registi – già autori di “Merica”, “Il treno va a Mosca” e “Il varco”, quest’ultimo premiato agli European Film Awards per il montaggio – conferma la loro capacità di scovare storie nascoste e di restituirle al pubblico con originalità e profondità, offrendo non solo un racconto storico, ma una riflessione sulla natura del cinema, sulla sua evoluzione e sul suo legame con la storia umana.
Il film si configura come un omaggio alla resilienza, all’ingegno e alla forza di chi, con coraggio e determinazione, ha saputo lasciare un segno indelebile in un mondo in rapida trasformazione.







