Il ruggito delle polemiche continua a scuotere la commemorazione della strage di Bologna, un terremoto emotivo che investe la memoria collettiva e solleva interrogativi profondi sulla gestione del lutto e la responsabilità storica.
Le recenti dichiarazioni della Ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, hanno amplificato ulteriormente la frattura, accusando l’evento di Piazza Medaglie d’Oro di essere degenerato in un “comiziaccio politico” che, a suo dire, ha distorto il tributo dovuto alle vittime, trasformandolo in un’occasione per attaccare figure istituzionali e politiche.
La posizione della Ministra, apparentemente volta a distanziarsi da qualsiasi collegamento tra la strage e l’attuale governo, ha generato una risposta immediata e veemente da parte di Paolo Bolognesi, il presidente uscente dell’associazione dei familiari delle vittime.
Bolognesi ha respinto con forza le accuse, definendo le parole della Bernini “assurde” e sottolineando come il suo discorso, concepito come una conclusione di un percorso giurisdizionale segnato dalle sentenze definitive della Cassazione, avesse lo scopo di affermare con chiarezza la verità storica.
Al centro della controversia vi è la mancata esplicita qualificazione della strage come atto fascista, un silenzio che, secondo Bolognesi, costituisce un tentativo di riscrivere la storia e di minimizzare il ruolo di determinati ambienti politici nel contesto degli anni ’80.
L’implicazione è che l’omissione, piuttosto che una semplice scelta retorica, rappresenta una volontà di occultare responsabilità e di piegare il passato a narrazioni politiche opportunistiche.
La replica di Bolognesi ha rivelato un dettaglio significativo: la prassi di sottoporre il discorso commemorativo al Comune, che a sua volta lo trasmette al Prefetto e, infine, al rappresentante del Governo.
Questa procedura suggerisce che la Ministra Bernini avrebbe avuto l’opportunità di conoscere il contenuto del discorso in anticipo, sollevando dubbi sulla sua reale comprensione e sulla legittimità delle sue critiche successive.
Il ministero, in risposta, ha negato di aver ricevuto alcuna anteprima del discorso.
Oltre alla disputa principale, un’ulteriore ondata di critiche si è scatenata a seguito di un manifesto commemorativo della Cisl Romagna, accusata di aver omesso qualsiasi riferimento alla matrice fascista.
Questa omissione ha innescato un acceso dibattito online, culminato nella pubblicazione di un “post riparatore”.
La gravità della situazione è stata esacerbata dalle parole di Gianni Cuperlo, che, via Facebook, ha espresso profondo sgomento, sperando che il manifesto fosse una “falsità”, a testimonianza della “miseria umana e politica” a cui si può spingere la manipolazione della memoria.
La vicenda trascende la semplice disputa politica, toccando corde profonde legate al diritto alla memoria, alla necessità di verità storica e alla responsabilità di chi detiene il potere di rappresentare il lutto collettivo.
La strage di Bologna, un evento tragico che ha segnato indelebilmente la storia italiana, rischia di essere strumentalizzato in un gioco di accuse e contro-accuse che offusca la verità e nega giustizia alle vittime e ai loro familiari.
La vicenda pone interrogativi fondamentali sulla gestione della memoria pubblica e sull’impegno a preservare la verità storica come fondamento di una società democratica.