Il diciottesimo novembre 2013.
Una data che per la Sardegna non è semplicemente una ricorrenza, ma un solco profondo nella memoria collettiva.
Un evento catastrofico, un’alluvione di proporzioni inaudite, ha scosso l’isola, rivelando con brutale chiarezza la sua vulnerabilità di fronte alla potenza inarrestabile della natura.
Il ciclone Cleopatra, un nome che evoca immagini di fascino e mistero, si è trasformato in un demone distruttivo, riversando sull’isola volumi d’acqua inimmaginabili, superiori a qualsiasi dato storico precedentemente registrato.
La Gallura, in particolare la città di Olbia, ha subito l’impatto più devastante.
Ma la sofferenza si è estesa a tutta l’isola, con perdite umane e danni materiali incalcolabili.
Diciannove vite strappate all’esistenza, un numero che racchiude in sé la tragedia di famiglie intere spezzate, di sogni infranti, di comunità dilaniate.
Nove vittime olbiesi, tra cui l’angoscia straziante di due bambini, quattro ad Arzachena, una famiglia annientata in un istante, e altre vite spezzate a Uras, Torpè e nel cuore del Nuorese.
Questo evento non è stato solo una calamità naturale, ma un tragico specchio delle fragilità strutturali e concettuali che affliggono il territorio sardo.
La scarsa pianificazione urbanistica, l’inadeguata manutenzione dei bacini idrografici, la sottovalutazione dei rischi idrogeologici – tutti questi fattori hanno contribuito ad amplificare l’impatto della furia meteorologica.
L’alluvione ha esposto come la cementificazione indiscriminata, l’abbandono delle pratiche agricole tradizionali che favorivano l’infiltrazione dell’acqua nel terreno e l’assenza di sistemi di monitoraggio e allerta efficaci abbiano creato una situazione esplosiva.
La ricostruzione non può limitarsi alla riparazione dei danni materiali; richiede una radicale revisione degli approcci alla gestione del territorio.
È imperativo investire in prevenzione, non solo attraverso opere di ingegneria idraulica, come la manutenzione dei corsi d’acqua e la realizzazione di opere di difesa, ma anche attraverso un cambio di paradigma culturale.
Ciò implica promuovere pratiche agricole sostenibili, incentivare la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, rafforzare la capacità di previsione e allerta precoce e, soprattutto, adottare un approccio integrato che consideri il territorio nella sua complessità ecologica, sociale ed economica.
La memoria di coloro che non sono sopravvissuti a questa tragedia deve costituire un monito costante, un impegno solenne a onorare la loro scomparsa attraverso un futuro più sicuro e resiliente per la Sardegna.
Un futuro in cui la coesione sociale, la conoscenza del territorio e la responsabilità condivisa siano i pilastri di una comunità capace di affrontare le sfide ambientali con coraggio e lungimiranza.
Il nostro sforzo quotidiano è dedicato a loro, a coloro che hanno perso la vita e alle loro famiglie, custodi di un dolore profondo e di una speranza ostinata.








