La situazione che si profila nel carcere di Uta, in Sardegna, solleva un’emergenza umanitaria e giuridica che richiede un’azione immediata e coordinata.
La Garante delle persone private della libertà, Irene Testa, ha lanciato un appello urgente per trovare una struttura idonea ad accogliere una giovane detenuta, affetta da tossicodipendenza e a rischio di parto prematuro, in un contesto carcerario profondamente inadeguato a gestire un evento fisiologico così delicato.
Il problema non si limita alla mera mancanza di spazi adeguati.
La detenzione, con le sue intrinseche limitazioni di libertà, le condizioni igienico-sanitarie spesso precarie e il carico emotivo che essa comporta, esacerba le fragilità già esistenti nella giovane donna.
La tossicodipendenza, a sua volta, amplifica i rischi per la salute sia della madre che del feto, rendendo imprescindibile un percorso di supporto medico e psicologico specializzato.
La mancanza di un Istituto di Cura e Assistenza Materno-Infantile (ICAM) funzionante in Sardegna aggrava ulteriormente la situazione.
L’ICAM, istituto pensato per offrire assistenza specifica alle donne incinte detenute, risulta inutilizzato, lasciando la giovane donna esposta a rischi potenzialmente evitabili.
Questa emergenza non è un caso isolato.
Essa riflette un problema sistemico più ampio: la scarsa attenzione dedicata alla salute e al benessere delle donne detenute, soprattutto quando affette da patologie o fragilità particolari.
La necessità di strutture specializzate, di personale qualificato e di protocolli di assistenza mirati è un dovere non solo umanitario, ma anche un obbligo giuridico derivante dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali sui diritti umani.
L’appello della Garante non è solo una richiesta di accoglienza, ma un monito sulla necessità di ripensare l’intero sistema carcerario, promuovendo un approccio più riabilitativo e orientato alla tutela della dignità umana.
È fondamentale che le istituzioni, le associazioni del terzo settore e la società civile collaborino per trovare una soluzione rapida e duratura, garantendo alla giovane detenuta e al suo bambino un futuro migliore, lontano dalle barriere e dalle privazioni del carcere.
L’azione immediata è imperativa non solo per proteggere la salute e la vita di una madre e del suo bambino, ma anche per affermare un modello di giustizia più umano e inclusivo.







