Hate Speech Online: L’analisi di una tesi di Cagliari

La tesi di laurea di Simone Cherchi, redatta presso la Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari, affronta un tema di cruciale importanza per la società contemporanea: l’hate speech nell’era digitale.

L’elaborato, supervisionato dal docente Massimo Arcangeli, si propone di analizzare le dinamiche del discorso d’odio, non solo nella sua forma più esplicita, ma anche nelle sue insidiose manifestazioni implicite, spesso celate dietro una patina di apparente innocuità.

Cherchi inizia con una disamina concettuale dell’hate speech, definendolo come un insieme di espressioni volte a denigrare, offendere, minacciare o incitare all’odio verso individui o gruppi sulla base di caratteristiche personali o appartenenze identitarie.
Pur riconoscendo che il fenomeno non è nuovo, la tesi evidenzia come la pervasività dei social media abbia amplificato enormemente la sua portata e la sua velocità di propagazione, creando un ecosistema in cui il discorso d’odio può proliferare in modo virale.
L’analisi si concentra in particolare su tre casi di post pubblicati da Roberto Vannacci, figura politica di spicco e, all’epoca della tesi, vicesegretario federale della Lega per Salvini Premier, ed europarlamentare.

Questi esempi sono stati scelti per la loro capacità di illustrare le sfumature e le strategie che possono essere impiegate per veicolare messaggi d’odio in maniera sottile e, apparentemente, legale.
Il primo caso preso in esame riguarda un post in cui Vannacci commentava le dimissioni di Carola Rackete, attivista e comandante della nave Sea-Watch 3.

Il post in sé, apparentemente un semplice commento, assume una connotazione problematica nell’uso di immagini.
Cherchi identifica questa pratica come un esempio di “linguaggio d’odio subdolo”: Vannacci, evitando la censura diretta di Meta, si serve di un dettaglio fisico – la peluria delle gambe di Rackete – per alimentare la derisione e la ridicolizzazione, bypassando i filtri algoritmici.
Questa scelta, a prima vista apparentemente innocua, si rivela una strategia volta a stimolare reazioni ostili nel suo elettorato, che prontamente si manifestano attraverso commenti denigratori e insulti diretti all’attivista.

La tesi distingue chiaramente tra due modalità di manifestazione dell’hate speech: il linguaggio d’odio subdolo, rappresentato dal post di Vannacci, che si presenta come un’opinione legittima, ma che in realtà contribuisce a normalizzare la discriminazione, e il linguaggio d’odio esplicito, incarnato dai commenti feroci che seguono il post, che rivelano l’ostilità e il pregiudizio di una parte del pubblico.
L’analisi prosegue con l’esame di ulteriori post di Vannacci, rivolti alla deputata Laura Boldrini e relativi a una manifestazione Lgbt, ulteriormente illustrando la tendenza del politico a utilizzare strategie comunicative ambigue e provocatorie.

La tesi di Simone Cherchi, come sottolineato dal relatore, costituisce un monito e un esempio di come sia fondamentale denunciare il linguaggio d’odio online, un fenomeno che ha raggiunto livelli senza precedenti.

L’elaborato mette in luce la responsabilità dei personaggi pubblici e delle istituzioni nell’utilizzo dei social media, evidenziando come le loro azioni possano avere un impatto diretto e pervasivo sulla società, incentivando reazioni aggressive e discriminatori.
La tesi ribadisce, con forza, che la diffusione di messaggi d’odio, anche se mascherati da opinioni personali, alimenta un clima di intolleranza e può avere conseguenze reali e dannose per le persone prese di mira.

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