Monica Vinci, processo fissato: il caso Carta verso la Corte d’Assise.

Il procedimento giudiziario relativo alla tragica vicenda che ha visto coinvolta Monica Vinci, accusata dell’omicidio della figlia Chiara Carta, quattordicenne residente a Silì, in provincia di Oristano, ha compiuto un passo decisivo.

La giudice per le udienze preliminari, Cristiana Argiolas, ha emesso un decreto di rinvio a giudizio, confermando l’imputazione nei confronti di Vinci e fissando la data del 4 febbraio 2026 per l’inizio del processo dinanzi alla Corte d’assise di Cagliari.

La scelta della giudice Argiolas si fonda su una valutazione complessa, che tiene conto non solo degli elementi fattuali del caso, ma anche della pericolosità sociale ancora percepita nell’imputata.

L’elemento cruciale in questa determinazione è costituito dall’ultima relazione prodotta dalla Residenza per l’esecuzione della pena e la misure di sicurezza di Capoterra (Rems), dove Vinci è attualmente trattenuta.

Il responsabile della struttura ha escluso la possibilità di una modifica della misura di sicurezza, suggerendo che la donna, difesa dall’avvocato Gianluca Aste, rappresenti ancora un potenziale rischio per la comunità.
Questa constatazione, unitamente ad altre evidenze raccolte durante le indagini preliminari, ha portato la giudice a ritenere necessario un processo pubblico per accertare le responsabilità e valutare l’eventuale applicazione di una pena detentiva o di una misura di sicurezza più rigorosa.

Il dibattimento si preannuncia particolarmente complesso e incentrato sulla querelle peritale, con opinioni divergenti tra i diversi consulenti tecnici nominati.

Il professor Maurizio Marasco, designato dalla giudice Federica Fulgheri, e il professor Giampaolo Pintor, incaricato dalla difesa, concordano nella diagnosi di infermità mentale di Monica Vinci al momento del gesto violento.
Entrambi hanno richiamato le preesistenti condizioni psichiatriche della donna, sottolineando come queste abbiano contribuito a creare una situazione di grave squilibrio e compromesso la sua capacità di discernimento e di controllo degli impulsi.

Si tratta di una condizione che, a loro avviso, esclude la piena responsabilità penale.
In contrasto con questa valutazione, il professor Stefano Ferracuti, consulente del pubblico ministero Valerio Bagattini, ha sostenuto la tesi di una seminfermità, suggerendo che, pur in presenza di disturbi psichiatrici, Vinci abbia mantenuto un certo grado di consapevolezza e capacità di intendere e di volere.

La divergenza di queste interpretazioni perizie costituirà il fulcro delle argomentazioni a sostegno delle rispettive posizioni, con implicazioni significative sull’esito del processo e sulla determinazione della pena.

L’approfondimento delle dinamiche familiari, le possibili cause scatenanti del tragico evento e l’analisi del quadro clinico complessivo della donna saranno elementi centrali per la Corte d’assise chiamata a giudicare la vicenda.

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