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Padre in lacrime: Preferirei morto lui, Cinzia no

Il volto di Mario Ragnedda, segnato da solchi profondi, trasmetteva una sofferenza che trascendeva le parole.
In diretta televisiva, nel corso della trasmissione “Ore 14” su Rai 2, l’uomo, padre dell’imprenditore vitivinicolo condannato per l’efferimata perdita di Cinzia Pinna, ha espresso un dolore lacerante, intriso di un’amara accettazione.

Il pensiero, ha rivelato, si rivolge incessantemente alla memoria di Cinzia e all’angoscia che attanaglia la sua famiglia.
Un tormento che si aggiunge ad un’altra, inestinguibile, ferita: quella di avere un figlio detenuto, un figlio privato della libertà.

“Per me è morta una figlia,” ha affermato con voce rotta, “oggi io ho una figlia morta e un figlio vivo in carcere.
La sofferenza è doppia.
“Dietro questa dichiarazione, si cela un paesaggio emotivo complesso, dove il rimpianto si mescola alla vergogna e la speranza si scontra con la disperazione.

Ragnedda, con una sincerità brutale, ha espresso un desiderio che incrina le fondamenta della moralità: “Avrei preferito che fosse morto lui e parlare di un’altra storia.
” Un’ammissione che riflette non solo il peso del dolore genitoriale, ma anche la difficoltà di accettare una colpa così grave e le sue inevitabili ripercussioni sulla vita familiare.
La frase, pur nella sua crudezza, apre uno spiraglio sulla profondità della crisi esistenziale che il padre sta vivendo.

Non è solo il dolore per la perdita di Cinzia che lo consuma, ma la consapevolezza del danno irreparabile causato dal figlio, un danno che ha lacerato il tessuto stesso della sua esistenza.

La giustizia, in questo contesto, non è solo una questione legale, ma un fardello emotivo che grava sull’intera famiglia, un peso che Mario Ragnedda porta sulle spalle con un’amara rassegnazione.
La sua testimonianza, al di là del singolo caso, solleva interrogativi complessi sulla natura del dolore genitoriale, sui limiti della comprensione e sulla difficoltà di trovare conforto di fronte alla tragedia.

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