La filiera del Pecorino Romano Dop si trova ad affrontare una sfida cruciale, proiettata sulla scena internazionale e mediata dall’influenza politica americana.
Una delegazione del Consorzio, guidata dal presidente Gianni Maoddi e dal direttore Riccardo Pastore, ha recentemente concluso un intenso ciclo di incontri a Washington, presso le sedi della Rayburn House Office Building e della Cannon House Office Building, con l’obiettivo primario di mitigare l’impatto dei nuovi dazi del 15% imposti sul formaggio romano.
Questa iniziativa, che si è svolta nonostante le difficoltà operative derivanti dallo shutdown federale, sottolinea l’importanza strategica del mercato statunitense per l’economia italiana e, in particolare, per le regioni di produzione del Pecorino Romano.
L’interesse dei membri del Congresso non è meramente formale; si radica nella consapevolezza del peso occupazionale che la filiera del formaggio, dalla pastorizia alla stagionatura, esercita su intere comunità.
Il Pecorino Romano non è un prodotto di nicchia, bensì un elemento fondamentale per migliaia di famiglie e un motore di sviluppo economico locale.
Il Consorzio ha inoltre assunto un ruolo di primo piano nell’unità di crisi istituita dal Ministero degli Esteri, una posizione di rilievo che lo pone al pari di associazioni industriali di grande importanza, come quelle del vino, delle acque minerali e dell’acciaio.
Questa inclusione testimonia la credibilità e la forza del Consorzio, che si è dimostrato capace di difendere gli interessi della filiera su scala nazionale.
L’attività di lobbying, condotta con determinazione negli Stati Uniti, è un tassello fondamentale di questa strategia.
Gianni Maoddi, presidente del Consorzio, sottolinea come i dazi imposti rappresentino una seria minaccia a un equilibrio commerciale costruito nel corso di un secolo e mezzo di relazioni solide tra Italia e Stati Uniti.
Il Pecorino Romano, a differenza di molti altri prodotti, non ha un equivalente produttivo all’interno del mercato americano, rendendo la misura commerciale particolarmente irragionevole.
Non si tratta di una questione di protezionismo, ma di riconoscimento della realtà di una filiera integrata, che genera benefici reciproci per entrambe le sponde dell’Atlantico.
Il formaggio, più che un semplice alimento, è diventato un elemento identitario della cucina italo-americana, un simbolo di un legame culturale profondo.
L’applicazione di dazi su un prodotto privo di concorrenza locale non solo penalizza i produttori italiani, ma danneggia anche gli operatori statunitensi, compromettendo la qualità e la diversità dell’offerta alimentare.
La sfida ora è quella di sensibilizzare il Congresso americano sull’importanza di tutelare una filiera che incarna un patrimonio culturale e gastronomico di inestimabile valore.







