Lunedì alle 10:30, il Tribunale di Tempio Pausania riaprirà le sue porte per l’ultima tranche del processo che vede Ciro Grillo e i suoi amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di due giovani donne.
La composizione del collegio giudicante, interrotta da eventi recenti, sarà regolarmente presieduta da tre magistrati, con l’aggiunta del giudice Alessandro Cossu, trasferito ad Asti ma chiamato a partecipare per completare l’iter processuale fino alla pronuncia della sentenza prevista per il giorno successivo.
La decisione di coinvolgere il giudice Cossu è stata assunta dal Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) in risposta a una richiesta del Tribunale stesso, in seguito a un grave lutto che aveva colpito il presidente del collegio, Marco Contu, sospendendo temporaneamente l’udienza del 3 settembre.
Ora, il processo riprende con le ultime difese presentate dal pool di avvocati che assistono gli imputati, seguiti dall’imminente camera di consiglio, momento cruciale in cui i giudici determineranno il destino dei quattro accusati.
L’affluenza degli imputati e della principale testimone, la studentessa italo-norvegese all’epoca dei fatti, rimane incerta.
L’avvocato Giulia Bongiorno, difensore della giovane donna, aveva espresso il desiderio della sua presenza in aula, pur sottolineando la mancanza di una decisione formale.
La sua eventuale partecipazione comporterebbe il ritorno delle restrizioni all’accesso dell’aula, precedentemente aperta alla stampa nelle fasi finali.
Il processo, segnato da una lunga e complessa requisitoria durata otto ore, riprende dopo la richiesta di condanna a nove anni di reclusione, con le attenuanti previste dal codice penale, avanzata dal procuratore Gregorio Capasso.
L’accusa sostiene l’inattendibilità delle versioni fornite dagli imputati, considerate frutto di una ricostruzione successiva.
Le difese, al contrario, invocano l’assoluzione, sostenendo la consensualità dei rapporti e mettendo in discussione la credibilità della presunta vittima.
In un’acuta osservazione, l’avvocato Bongiorno ha descritto la giovane donna come una “sopravvissuta alla violenza, ma morta dentro”, sottolineando l’importanza di una sentenza che riconosca la correttezza della denuncia, un atto spesso ostacolato da pregiudizi e diffidenze nel nostro paese.
La decisione imminente non è solo una conclusione processuale, ma anche un banco di prova per la giustizia e per il significato della denuncia di atti violenti in Italia, una scelta spesso ardua e dolorosa, che necessita di un riscontro concreto e di un riconoscimento pubblico.