Sulla spiaggia sassarese di Platamona, l’effimero si è fatto portavoce di un grido.
Nicola Urru, artista della sabbia, ha realizzato un’opera destinata a dissolversi con la marea, ma che ha lasciato un segno indelebile nella coscienza collettiva: un bambino, visibilmente provato, che si affretta a portare sulle spalle la sorellina, un fardello che ne piega la fragile struttura fisica ed emotiva.
La sua voce, rotta dal pianto e dalla disperazione, implora un aiuto che sembra provenire da un’altra dimensione: “Aspetta, mamma!”.
Dietro quella scena di struggente umanità si celano le cicatrici di un conflitto, le ombre delle bombe, le macerie di un futuro negato.
L’artista, con un gesto quasi sacrificale, ha deciso di cancellare l’opera, come a voler affermare che certe immagini, certi orrori, non dovrebbero mai trovare spazio nell’immaginario collettivo, che non dovrebbero mai essere ridotti a simboli o a icone.
Un rifiuto doloroso, una presa di distanza da un mondo che troppo spesso si dimostra sordo alla sofferenza altrui.
I volti dei bambini rimangono anonimi, ma il loro sacrificio e la loro vulnerabilità trascendono l’identità individuale, incarnando la tragedia di Gaza.
L’immagine è un monito potente: un microcosmo di una crisi umanitaria che si estende su un intero territorio.
Si tratta di un’umanità ferita, costretta a lottare per la sopravvivenza, aggrappata a fili di speranza in un contesto di disastro e precarietà.
Il gesto del fratello che sorregge la sorella, pur nella sua apparente semplicità, racchiude una profonda lezione di solidarietà e resilienza.
È un atto di cura che supera le barriere ideologiche e geografiche, un’espressione di amore fraterno che emerge dalle tenebre della catastrofe.
Questo atto disinteressato, questo sacrificio silenzioso, rappresenta una forza trainante che spinge avanti, che alimenta la speranza in un futuro migliore.
L’urgenza è palpabile: la risposta a questa sofferenza incommensurabile non può che essere puramente umanitaria.
Non si tratta di ideologie o di politiche, ma di un imperativo morale che impone di garantire ai bambini e alle loro famiglie accesso a risorse vitali: acqua potabile, cibo nutriente, cure mediche essenziali e, soprattutto, protezione dalla violenza e dalla paura.
La loro condizione è un appello universale, un grido disperato che interpella l’intera comunità internazionale.
Richiede una reazione immediata, guidata dall’altruismo e dalla compassione, un gesto di umanità che possa illuminare l’oscurità e offrire una speranza concreta per il futuro di una generazione intera.
Un futuro che, per ora, resta sospeso, fragile come la sabbia sulla spiaggia.