L’ombra del silenzio avvolge Giovanni Piero Sanna, figura chiave un tempo al timone della Conservatoria delle Coste sarda, ora al centro di un’inchiesta che solleva interrogativi profondi sulla gestione del patrimonio costiero dell’Isola.
Insieme alla sorella Maria Grazia e all’amico brasiliano Tiago Geissler Queiroz, Sanna ha scelto di non rilasciare dichiarazioni durante l’udienza di convalida davanti alla giudice per le indagini preliminari Claudia Falchi Delitala, confermando il velo di mistero che aleggia sulla vicenda.
L’accusa è gravissima: presunta sottrazione di circa due milioni di euro, fondi destinati alla conservazione e alla valorizzazione di un tesoro ambientale e culturale di inestimabile valore.
Il presunto schema fraudolento, attivo dal 2020 al 2024, si sarebbe articolato attraverso la creazione di una fitta rete di associazioni culturali apparentemente no-profit.
Queste entità, agendo come meri prestanome o coinvolgendo ignari collaboratori, avrebbero emesso fatture per progetti e conferenze mai effettivamente realizzati.
La coperta, a quanto pare, era intessuta con fili apparenti di promozione culturale, storica e territoriale, celando una presunta manipolazione di risorse pubbliche destinate a tutelare l’identità e la bellezza della Sardegna.
Si parla di collane di libri e documentari mai prodotti, testimonianza tangibile di un potenziale disastro gestionale.
L’avvio delle indagini, cruciale per sbrogliare la complessa matassa, è dovuto all’esposto presentato da Maria Elena Dessì, attuale direttrice dell’Agenzia, nominata dalla Giunta Todde a seguito della sospensione di Sanna.
La sua designazione ha segnato una discontinuità con l’era precedente, caratterizzata dall’esecutivo Solinas, che aveva inizialmente indicato Sanna per la carica.
La sua immediata sospensione da qualsiasi ruolo dirigenziale, il giorno stesso dell’arresto, sottolinea la gravità delle accuse e l’urgenza di una revisione profonda della governance del patrimonio costiero.
Questo scandalo non si limita a una questione meramente finanziaria; esso evidenzia una potenziale erosione dei principi di trasparenza e responsabilità nella gestione del patrimonio pubblico.
Le accuse sollevano interrogativi sulla capacità di controllo e supervisione delle attività delle associazioni culturali che operano con fondi pubblici e sulla vulnerabilità di tali istituzioni a pratiche di corruzione.
La vicenda si configura come un campanello d’allarme, che impone un’analisi critica dei processi decisionali, dei meccanismi di controllo e dei criteri di selezione dei beneficiari di finanziamenti, al fine di garantire la tutela del patrimonio costiero sardo e il ripristino della fiducia dei cittadini.
L’inchiesta apre uno spiraglio sulla necessità di una riforma più ampia del sistema di governance del patrimonio culturale e ambientale, promuovendo una cultura della legalità e della rendicontazione.








