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venerdì 7 Novembre 2025

Sardegna, carcere sovraffollato: cresce la popolazione straniera

L’archipelago sardo si configura sempre più come un nodo cruciale nel sistema penitenziario nazionale, con flussi migratori interni che amplificano le tensioni e le criticità preesistenti.
I recenti dati statistici di ottobre rivelano un’impennata demografica, con una percentuale di detenuti stranieri, prevalentemente di origine extracomunitaria, che si avvicina al 30% – un dato significativo considerando l’aumento complessivo del 20,3% rispetto al mese precedente.
Un incremento che porta il numero totale di persone private della libertà a superare la capienza regolamentare delle strutture, portando a 2.547 detenuti per un totale di 2.479 posti disponibili.
Questa situazione, evidenziata dall’analisi di Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, solleva interrogativi profondi sulle dinamiche del sistema giudiziario e sulle condizioni di umanità garantite all’interno delle carceri sarde.

L’incremento esponenziale di detenuti stranieri non è solo una questione numerica, ma riflette un trasferimento di responsabilità penitenziarie che coinvolge diverse regioni della penisola, trasformando l’arcipelago in una sorta di “valvola di sfogo” per il sovraffollamento in altre strutture.

Le case circondariali di Cagliari e Sassari, tradizionalmente punto di riferimento per la popolazione detenuta, si trovano a fronteggiare una pressione demografica particolarmente intensa.

A Cagliari, gli stranieri rappresentano quasi il 26% del totale, superando i limiti di capienza.

A Sassari, la percentuale è ancora più elevata, attestandosi sopra il 31%.
Il centro di Mamone-Onanì, con oltre il 56% di detenuti stranieri, incarna la drammaticità di questa realtà, dove la promessa di un ambiente isolano, pacifico e riabilitativo, si dissolve in una situazione di sovraffollamento e carenza di risorse.
L’aumento del numero di donne detenute, con sezioni piene nelle strutture di Cagliari-Uta e Sassari-Bancali, aggrava ulteriormente la situazione.
L’assenza di adeguati servizi di supporto e la prassi dei trasferimenti che impediscono di portare con sé oggetti personali, costringendo i detenuti a sostenere spese per il recupero del proprio bagaglio, testimoniano una gestione penitenziaria priva di sensibilità umana e attenta alle esigenze fondamentali della persona.

L’introduzione del regime del 41bis nelle carceri di Sassari e Nuoro, e la sua imminente estensione a Cagliari, introduce ulteriori livelli di restrizione e isolamento, destinati a gravare ulteriormente sulle condizioni di vita dei detenuti e ad aumentare le tensioni all’interno delle strutture.

La trasformazione dell’immagine della Sardegna, da oasi di riabilitazione a luogo di “deportazione” penale, richiede una riflessione profonda e urgente, che coinvolga istituzioni, operatori del settore e società civile, al fine di garantire un sistema penitenziario più umano, efficiente e in linea con i principi costituzionali di dignità umana e rieducazione.

È imperativo affrontare le cause profonde di questo fenomeno, promuovendo politiche di integrazione e di reinserimento sociale che offrano a questi individui una reale possibilità di riscatto e di ricostruzione della propria vita.

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