Il Nuraghe Diana, gioiello archeologico incastonato nel litorale di Quartu Sant’Elena, riemerge dopo due decenni di quiescenza grazie a una rinnovata iniziativa della Soprintendenza archeologica, restituendo al mondo un tassello fondamentale per comprendere l’organizzazione sociale, economica e strategica delle genti nuragiche.
Questo sito, candidato a patrimonio dell’umanità UNESCO, non è semplicemente una costruzione megalitica, ma un nodo cruciale in un complesso sistema territoriale che dominava il paesaggio costiero e marittimo nel corso del Bronzo Recente.
L’insediamento si erge in una posizione di preminente rilevanza, un punto di controllo privilegiato sulle vie di comunicazione tra l’entroterra e il mare, riflettendo un’importanza strategica che si estendeva ben oltre il mero controllo del porto.
La denominazione tradizionale, “Janna” (porta in sardo), evoca immediatamente il suo ruolo di accesso privilegiato al Mediterraneo, un varco cruciale per i commerci, i movimenti di persone e lo scambio di informazioni.
La struttura architettonica, composta da una torre centrale affiancata da due torri frontali, un vano scala e un villaggio ancora parzialmente sepolto, offre uno spaccato tangibile della vita comunitaria nuragica.
Gli scavi recenti, guidati dalla Soprintendenza, hanno rivelato dettagli inediti sulla complessità dell’insediamento.
In particolare, è emersa una diversità tecnica nella costruzione degli ambienti del villaggio, con murature differenti da quelle del nuraghe stesso.
Questo paradosso, apparentemente contraddittorio, suggerisce una specializzazione del lavoro e una stratificazione sociale all’interno della comunità nuragica, dove tecniche costruttive differenti potevano essere associate a funzioni specifiche o a gruppi sociali distinti.
L’analisi dei materiali rinvenuti – ceramiche, strumenti litici – conferma la contemporaneità di queste strutture, escludendo la possibilità di un’aggiunta successiva e rafforzando l’ipotesi di una evoluzione interna all’organizzazione costruttiva.
La presenza di questi elementi sottolinea un legame indissolubile tra la comunità nuragica e il mare, un rapporto che trascendeva il mero controllo commerciale.
Il Nuraghe Diana agiva da sentinella, integrandosi in un sistema più ampio di siti megalitici costieri, un vero e proprio circuito di sorveglianza e interazione con l’ambiente marittimo.
L’archeologa Gianfranca Salis sottolinea come i ritrovamenti testimonino la capacità delle popolazioni nuragiche di adattarsi all’ambiente costiero e di sviluppare un’organizzazione territoriale complessa.
Il futuro del Nuraghe Diana si prospetta ricco di nuove scoperte.
Oltre al completamento degli scavi e al restauro delle strutture emerse, si prevede un’attenta analisi dei materiali rinvenuti, con l’obiettivo di ricostruire la vita quotidiana e le attività economiche della comunità nuragica.
Parallelamente, si pone l’ambizione di ampliare l’offerta culturale, rendendo il sito fruibile per tutto l’anno e promuovendo la conoscenza del patrimonio nuragico.
L’iniziativa “Incanti”, con i suoi numerosi eventi, rappresenta un’occasione unica per valorizzare non solo il Nuraghe Diana, ma anche altre aree archeologiche di rilevante interesse nel territorio di Quartu Sant’Elena, come la Villa Romana di Sant’Andrea, creando un circuito culturale integrato e dinamico.
La riscoperta del Nuraghe Diana non è solo un’operazione di recupero del passato, ma un investimento nel futuro, un’opportunità per rafforzare l’identità culturale del territorio e per accogliere un flusso di visitatori sempre più attenti e appassionati.