lunedì 29 Settembre 2025
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Cagliari

Campagne in rivolta: il grano italiano chiede aiuto.

Il grido di allarme si leva dalle campagne italiane, un coro disperato di cerealicoltori che si scontrano con un sistema che sembra aver dimenticato il valore del lavoro agricolo e la cruciale importanza della produzione nazionale.

Dalle città del nord alle coste sarde, le proteste si susseguono, un monito severo per le istituzioni e la filiera agroalimentare.

A Cagliari, la Prefettura è stata teatro di una significativa manifestazione, espressione del malcontento di un settore vitale per l’economia sarda e nazionale.

Il nocciolo della questione è una profonda crisi strutturale, innescata da un complesso intreccio di fattori.
Il crollo del prezzo del grano duro, precipitato a 28 euro al quintale – un tracollo del 30% nell’ultimo anno che riporta i valori a livelli pre-bellici nonostante l’aumento dei costi di produzione del 20% dal 2021 – è solo la punta dell’iceberg.

Questo prezzo misero si traduce in un riconoscimento agricolo di appena 28 centesimi al chilo di grano, mentre un chilo di pasta, prodotto da quel grano, costa ai consumatori ben 2 euro.
La situazione in Sardegna è particolarmente allarmante.

La superficie coltivata a grano duro, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Istat, si attesta a 28.475 ettari nel 2024, un dato in declino rispetto all’anno precedente, segnale di un progressivo abbandono delle coltivazioni e di un impoverimento del tessuto agricolo locale.

Questo fenomeno non è isolato; a livello nazionale, si rischia la perdita di quasi 140.000 imprese agricole, con il Mezzogiorno particolarmente vulnerabile.
Battista Cualbu, presidente di Coldiretti Sardegna, ha stigmatizzato l’emergenza, denunciando pratiche sleali che ignorano la normativa nazionale in merito al costo di produzione.
La richiesta è chiara: una filiera agroalimentare realmente trasparente e sostenibile, che vada oltre la mera valutazione della qualità del prodotto e garantisca un equo compenso agli agricoltori prima ancora dell’inizio delle campagne.

L’invasione di grani esteri a basso costo, spesso privi di controlli adeguati sulla sicurezza alimentare, rappresenta una minaccia diretta alla sopravvivenza dei produttori italiani e mette a rischio la salute dei consumatori.
Questa ondata di importazioni, spesso alimentata da dinamiche commerciali distorte e da una mancanza di tutela delle produzioni locali, erode la competitività delle aziende agricole e mina la sovranità alimentare del Paese.
La protesta non è solo un grido di dolore, ma anche un appello alla responsabilità collettiva.
La cerealicoltura non è semplicemente un’attività economica, ma un elemento fondante dell’identità culturale e del paesaggio agrario italiano.
Perdere questo comparto significherebbe compromettere la sicurezza alimentare, impoverire il tessuto sociale delle campagne e pregiudicare il futuro delle nuove generazioni di agricoltori.
È necessario un cambio di paradigma, un impegno concreto da parte di istituzioni, imprese e consumatori per sostenere la produzione nazionale, tutelare il lavoro agricolo e garantire un futuro sostenibile per le campagne italiane.

La sopravvivenza del grano italiano è intimamente legata al futuro dell’Italia stessa.

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