L’annuncio di nuove tariffe doganali da parte dell’amministrazione statunitense, con un’imposizione del 30% sulle importazioni europee a partire dall’1 agosto, rappresenta una tempesta in arrivo per il settore agroalimentare sardo.
Lungi dall’alimentare reazioni impulsive, è imperativo un approccio strategico e sereno, basato su una profonda comprensione delle dinamiche del mercato e sulla forza della collaborazione tra tutti gli attori coinvolti.
La trappola dell’allarme generalizzato rischia di amplificare negativamente le conseguenze economiche, minando la resilienza di un comparto cruciale per l’economia isolana.
Coldiretti Sardegna sottolinea l’urgenza di un’analisi rigorosa, che vada oltre la semplice valutazione dell’impatto diretto dei dazi.
È necessario ricostruire e rafforzare i collegamenti lungo l’intera filiera, dalla produzione primaria alla commercializzazione, promuovendo soluzioni condivise e coordinate.
La Sardegna possiede strumenti di risposta potenzialmente efficaci, come il pegno rotativo per la gestione delle eccedenze di magazzino o l’attivazione di bandi mirati a sostenere i produttori, ma la loro efficacia dipende da decisioni unitarie e da un impegno concreto da parte di ciascuno.
Battista Cualbu e Luca Saba, rispettivamente presidente e direttore di Coldiretti Sardegna, evidenziano la necessità di trascendere le reazioni emotive, sollecitando la Regione a convocare immediatamente un tavolo tecnico composto da rappresentanti del settore del Pecorino Romano, istituzioni finanziarie e associazioni di categoria.
La sfida impone un’agire coeso, evitando la pericolosa deriva di una svalutazione generalizzata dei prodotti sardi, spinta dalla paura di perdere quote di mercato.
L’impatto economico, sommato alla fluttuazione del tasso di cambio euro-dollaro, potrebbe tradursi in un incremento dei prezzi al consumo che supererebbe il 40%, secondo le stime di Coldiretti Sardegna.
Questo scenario potrebbe indurre alcuni operatori ad abbassare i prezzi per mantenere la competitività, con conseguenze deleterie per l’intera filiera, con i pastori direttamente penalizzati.
È fondamentale arginare il rischio di un circolo vizioso di paura e speculazione, che spinge i produttori a sacrificare i prezzi per difendersi dalla perdita di vendite.
Un simile comportamento danneggerebbe non solo l’economia sarda, ma anche quella statunitense, considerando l’assenza di alternative immediate al Pecorino Romano sul mercato americano e la sua consolidata presenza nei flussi di import-export tra i due continenti.
L’unicità e la qualità del prodotto sardo rappresentano un valore aggiunto inestimabile, e la sua difesa passa attraverso la salvaguardia della sua integrità economica e la promozione di una visione strategica a lungo termine.