A trent’anni dalla Dichiarazione di Pechino, un traguardo che avrebbe dovuto segnare un punto di svolta nell’affermazione dei diritti delle donne e nell’eliminazione delle disuguaglianze di genere, la realtà che si presenta è un quadro a tinte non uniformi, dove progressi significativi coesistono con persistenti, a volte drammatiche, disparità.
La riflessione della segretaria generale della Uil Sardegna, Fulvia Murru, non è una semplice constatazione, ma un campanello d’allarme che invita a un’analisi più profonda e a un’azione urgente.
I dati, crudi e inequivocabili, rivelano un baratro che separa l’ideale della parità di genere dalla condizione femminile nel nostro Paese, e in particolare in Sardegna.
Il divario occupazionale, che nel 2024 si attesta a un preoccupante 17,8 punti percentuali a sfavore delle donne, colloca la Sardegna in una posizione di estrema vulnerabilità, con tassi di occupazione femminili tra i più bassi d’Europa.
Questa situazione è aggravata dalla prassi diffusa del part-time involontario, una condizione che impone alle donne scelte lavorative spesso subite e che penalizza la loro autonomia economica e professionale.
Il divario retributivo, che nel 2023 si manifesta con una differenza del 29,5% a favore degli uomini, si fa ancora più marcato nel settore operaio, dove la disparità raggiunge il 40%.
Questo dato, unito al tasso di occupazione femminile sardo, che si ferma al 52,4% contro il 56,5% nazionale, dipinge un quadro di profonda ingiustizia economica e sociale.
La retribuzione oraria media, nettamente inferiore alla media italiana, e la dilagante presenza di part-time involontario (oltre il 23%), testimoniano una situazione di profonda precarietà per molte lavoratrici.
Oltre alle dimensioni quantitative, è fondamentale considerare le implicazioni qualitative di questa disparità.
La segregazione occupazionale, che tende a relegare le donne in settori a basso valore aggiunto e con minori opportunità di carriera, e la difficoltà di accesso a posizioni apicali, perpetuano un modello di disuguaglianza che limita il potenziale delle donne e impoverisce l’intera società.
La segretaria Murru sottolinea con forza che celebrare l’anniversario della Dichiarazione di Pechino non può essere un esercizio retorico, ma un momento per riaffrontare con determinazione le sfide ancora aperte.
Colmare il divario di genere non è solo una questione di giustizia sociale, ma un imperativo economico: l’Unione Europea potrebbe beneficiare di un aumento del PIL fino al 9,6% entro il 2050, con un impatto economico di proporzioni enormi.
Per la Uil, le priorità sono chiare: investire in servizi di supporto alla famiglia e al caregiving, promuovere l’accesso delle ragazze alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), incentivare contratti di lavoro stabili e di qualità, e combattere le distorsioni del mercato che costringono le donne a compromessi e scelte non libere.
La prospettiva che, al ritmo attuale, la parità di genere possa essere raggiunta in Italia solo tra oltre un secolo è un dato allarmante che impone un cambio di rotta.
È necessario coltivare una visione ambiziosa, che permetta a ogni donna di realizzare il proprio potenziale, di aspirare a ruoli di leadership e di contribuire attivamente alla crescita economica e sociale del Paese.
Il futuro delle nostre bambine e ragazze dipende dalla nostra capacità di trasformare gli impegni dichiarati in azioni concrete e durature.
Un futuro in cui le loro speranze non rimangano sogni infranti, ma conquiste reali e condivise.