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Uta: Allarme Carcere, Garante Testa denuncia condizioni ingestibili

L’annuncio del trasferimento di novantadue detenuti in regime di 41 bis presso il carcere di Uta alimenta una spirale di preoccupazioni, esacerbata dalla prospettiva di un’espansione della struttura attraverso l’implementazione di moduli container, come previsto dal piano carcerario del ministro Nordio.
Questo scenario, ventilato con crescente urgenza, solleva interrogativi profondi sulla gestione del sistema penitenziario sardo e, più in generale, sull’approccio umano e riabilitativo alla detenzione.
La Garante regionale delle persone private della libertà personale, Irene Testa, ha espresso un allarme inequivocabile, derivante da una recente visita ispettiva presso l’istituto.
La situazione, descritta come “ingestibile”, rivela una drammatica carenza di risorse umane e infrastrutturali.

Durante l’ispezione, si sono contate 685 detenuti assistiti da un organico di soli 140 agenti di polizia penitenziaria, un rapporto numerico che impone un carico di lavoro insostenibile, amplificato dalle condizioni ambientali critiche, con agenti costretti a operare in sezioni esposte al caldo torrido.
La diminuzione del personale durante i periodi di ferie estive, con un organico effettivo ridotto a 314 unità rispetto alle 394 previste, acuisce ulteriormente la criticità.

La mancanza di disponibilità di celle adeguate per gestire situazioni di emergenza, l’assenza di personale dedicato alla distribuzione dei farmaci e una carenza generalizzata di medici e operatori sanitari, costituiscono elementi di una crisi sistemica che mina la sicurezza e la dignità dei detenuti, ma anche la salute psicofisica del personale penitenziario.
La prospettiva di ulteriori trasferimenti di detenuti, in un contesto già al collasso, appare irresponsabile e controproducente.

La Garante Testa critica aspramente il piano del ministro Nordio, ritenendolo un’inversione di rotta rispetto agli obiettivi di riqualificazione e modernizzazione delle strutture carcerarie.

L’idea di costruire un “carcere-container”, lungi dal rispondere alle reali esigenze dei detenuti e del personale, rischia di trasformare l’istituto di Uta in un mero contenitore di umanità negata, perpetuando un modello punitivo basato sulla repressione e sull’isolamento, anziché sulla possibilità di reinserimento sociale e riscatto personale.
L’ampliamento di Uta con moduli prefabbricati, pertanto, non rappresenta una soluzione, ma un sintomo di un problema ben più profondo: la cronica sottovalutazione del sistema penitenziario, la mancanza di investimenti in risorse umane e infrastrutturali, e una visione miope del ruolo della pena, che dovrebbe essere orientata alla rieducazione e al reinserimento, non alla semplice detenzione a tutti i costi.

La garanzia dei diritti fondamentali dei detenuti, e la tutela della dignità umana, impongono un cambio di rotta urgente e radicale.

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