Un nodo cruciale nel processo vaticano: inammissibilità dell’appello del Promotore di Giustizia e implicazioni per il caso BecciuLa Corte d’appello vaticana, presieduta da monsignor Alejandro Arellano Cedillo, ha emesso una sentenza di notevole impatto sul delicato processo riguardante la gestione dei fondi della Segreteria di Stato e l’acquisto del Palazzo di Londra, con il cardinale Angelo Becciu tra gli imputati.
La Corte ha dichiarato inammissibile l’appello presentato dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, di fatto bloccando la possibilità per l’accusa di riaprire le discussioni sui capi di imputazione principali.
Questa decisione, emessa in nome di Sua Santità Papa Leone XIV e basata sull’art.
134 del Codice di Procedura Penale, segna una svolta significativa nel percorso giudiziario.
La Corte ha ritenuto definitiva la sentenza di primo grado, che aveva già condannato nove dei dieci imputati, con il cardinale Becciu a una pena di cinque anni e sei mesi di reclusione per peculato e truffa aggravata.
La decisione di inammissibilità solleva interrogativi profondi sull’equilibrio dei poteri all’interno del sistema giudiziario vaticano e sulla possibilità per l’accusa di contestare efficacemente le decisioni del primo grado.
Il Promotore aggiunto Roberto Zannotti, in rappresentanza dell’accusa, ha vigorosamente difeso la fondatezza dell’appello, contestando l’interpretazione della Corte e sottolineando la necessità di analizzare a fondo le circostanze del caso.
Tuttavia, le argomentazioni dell’accusa sono state ampiamente contrastate dalle difese, che hanno sostenuto la necessità di rispettare il dispositivo della sentenza e il principio del giusto processo.
Gli avvocati dei vari imputati, tra cui Gian Domenico Caiazza (difesa di Raffaele Mincione) e Cataldo Intrieri (difesa di Vincenzo Tirabassi), hanno sottolineato l’importanza di una valutazione rigorosa del dispositivo e hanno invocato i principi fondamentali del giusto processo, pilastri dell’ordinamento giuridico vaticano.
L’unica eccezione è stata l’avvocato di Cecilia Marogna, Giuseppe Di Sera, che ha preferito affidarsi alla decisione della Corte.
L’Authority di vigilanza e anti-riciclaggio vaticana (Asif) ha rinunciato all’appello, sottolineando forse la complessità e la delicatezza della situazione.
La Corte, dopo una camera di consiglio durata poco meno di due ore, ha motivato la decisione di inammissibilità affermando che i motivi di ricorso devono presentare una “determinatazza” tale da consentire una comprensione del rapporto critico tra le ragioni della decisione e le censure sollevate.
In altre parole, le critiche devono essere specifiche e puntuali, non generiche o astratte.
L’avvocato Claudio Urciuoli ha commentato che le assoluzioni sono ormai “giudicate”, sottolineando che il processo si concentrerà ora su aspetti specifici, come il peculato e il cosiddetto “canone 1284”.
Altri avvocati, come Marzio Zanchetti e Andrea Zappalà, hanno espresso cautamente ottimismo, pur riconoscendo che il processo potrebbe confermare la sentenza esistente o portare a un miglioramento.
Per il cardinale Becciu, la decisione rappresenta un segnale positivo, sebbene riconosca che il cammino sia ancora lungo.
I suoi legali, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, hanno evidenziato la correttezza della decisione della Corte, sottolineando la solidità delle loro argomentazioni difensive e la loro fiducia nella piena innocenza del cardinale.
Questa vicenda solleva interrogativi sulla governance del sistema giudiziario vaticano, sulla separazione dei poteri e sulla possibilità di garantire un giusto processo per tutti gli imputati.
La prossima udienza, fissata per il 6 ottobre, si preannuncia cruciale per il futuro del processo e per la reputazione delle persone coinvolte.
Il nodo cruciale è ora concentrato sulla verifica delle argomentazioni difensive e sulla valutazione della solidità delle prove a sostegno dell’accusa, in un contesto giuridico particolarmente delicato e complesso.